La cultura dell’hype fa schifo, ecco perché

Futurama Fry Meme Shut Up and Take My Money
(Immagine:: Matt Groening)

Ogni giorno, un appassionato di tecnologia si sveglia e sa che sarà subissato di leak, indiscrezioni, spoiler e quant’altro sul prossimo prodotto tecnologico che promette di cambiarci la vita, o quantomeno di farci sentire più cool.

Lo stesso possiamo dirlo per gli appassionati di videogiochi, serie TV e qualsiasi altro prodotto della cultura di massa; ne arrivano a decina, centinaia e migliaia ogni giorno, sempre “nuovi”. .

Tutto fa brodo quando l’obiettivo è “creare engagement”, commenti, recensioni sui trailer o addirittura sui teaser, orde di fan che litigano fra di loro per questo o quel motivo, tutto purché si parli del prossimo gadget di cui abbiamo assolutamente bisogno. Oppure no?

Ogni giorno, un giornalista  si sveglia e sa che dovrà riportare speculazioni, voci di corridoio, analisi e opinioni degli esperti, che dovrà  alimentare la cultura dell’hype.

Non importa che siate un nerd o un redattore, l’importante è che iniziamo a ragionare su un fatto: la cultura dell’hype fa schifo.

Innanzitutto, perché continua a creare bisogni che, in realtà, non esistono. Ma fin qui, potreste ribattere, ognuno ha le sue passioni e spende i suoi soldi come meglio crede. E dopotutto creare bisogni è ciò che fa la pubblicità da quando è stata inventata, quindi l’hype si potrebbe liquidare come una nuova forma di marketing. Lo è, ma non solo. 

La cultura dell’hype crea anche un altro circolo vizioso, ovvero continuare a invadere il mercato, e le nostre case, di prodotti che rendono quelli comprati solo pochi mesi fa o al massimo un anno prima, indesiderabili, obsoleti, non cool. Alimenta una nuova forma di consumismo più profonda, più radicata nelle persone, più emotiva, più virale

Freniamo gli entusiasmi

Se l’arrivo della RTX 4090 vi ha fatto in qualche modo arrabbiare, se anche voi avete pensato che Nvidia abbia perso il senso della realtà, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Vi faccio un altro esempio: quanti di noi, me compreso, abbiamo aspettato Cyberpunk 2077 come se fosse il Messia? Quanti hanno aggiornato il proprio PC, me compreso, per essere pronti a godersi questa rivoluzione del mondo dei videogiochi promessa da CD Projekt RED? Per una felice coincidenza, all’epoca sono riuscito ad acquistare una RTX 3070 e ad aggiornare la mia macchina per l’occasione, dato che il PC precedente mi implorava di essere messo in pensione.

Eppure, sappiamo tutti com'è andata a finire. Di più, io dopo Cyberpunk ho avuto la sensazione di non stare sfruttando per niente la mia nuova configurazione. Sono stato contagiato dall’hype. Non pensavo ad altro, leggendo news, leak, confrontando benchmark, facendo i conti per capire se il mio sistema fosse davvero pronto alla rivoluzione.

Dopodiché, il nulla.

Nvidia CEO Jensen Huang hoding an RTX 4090

"Fammi una faccia da Hype!" (Image credit: Nvidia)

Altro esempio? Quanti hanno comprato un iPhone 13, per poi essersi pentiti della spesa una volta lette le prime indiscrezioni su iPhone 14? E diciamolo apertamente, il passaggio dalla generazione precedente a quella attuale non è che sia stato così deflagrante come aveva promesso Apple.

Personalmente, inizio a stancarmi di leggere e sentire sempre le stesse altisonanti dichiarazioni, anno dopo anno. Eppure, in qualche modo, riesco ancora a cadere nella trappola dell’hype. Le preview dei nuovi smartphone, a volte, riaccendono una scintilla di entusiasmo, di aspettativa e di interesse.

Poi, alla prova dei fatti, quando finalmente ho la possibilità di testare con mano il nuovo prodotto tanto atteso, di cui partiranno a breve i preordini, inizio a chiedermi il perché.

Oggettivamente, posso trovarmi davanti a un prodotto eccezionale, ma non riesco a fare a meno di chiedermi se davvero servisse. Il modello precedente era fantastico e lo è ancora. Perché dovrei consigliare questo a chi ha già sborsato parecchi soldi per il modello 2021?

È un discorso generale, e ovviamente ci sono dei casi in cui nuovi modelli rimpiazzano in tutto e per tutto i precedenti. Ad esempio, gli AirPods Pro 2 sono davvero un bel passo avanti rispetto all’iterazione precedente.

Ma in molti casi, non è così. O meglio, non vale la pena fare l’upgrade fra due generazioni successive.

Che siamo accecati dall’entusiasmo è chiaro. Il bisogno di essere sempre sul pezzo, di essere cool, la paura di restare tagliati fuori o la FOMO come amano dire in USA, sono tutti elementi che perpetuano l’eterno ciclo dell’hype.

Dovremmo però fermarci un attimo, frenare gli entusiasmi e riflettere.

Non è solo una questione di principio

Riflettere su quanto sia fondamentalmente sbagliato lasciarsi fagocitare dall’hype non è solo una questione di principio. Innanzitutto, stiamo andando incontro a una (un’altra) forte crisi economica, i consumi iniziano a contrarsi, il costo della vita sale. Forse non sarebbe opportuno creare così tanti falsi bisogni, giocando su leve psicologiche molto forti come il bisogno di convalida sociale.

Ma non solo, questo continuo flusso di nuovi gadget, dispositivi, componenti hardware contribuisce anche a un altro problema, la crisi climatica

Leggi anche energia e machine learning, obiettivo zero emissioni

Abbiamo già visto come, nello specifico, la sfera dell’hardware gaming per PC sia sempre meno sostenibile, se a questo aggiungiamo l’intero settore tech, possiamo capire quanto sia allarmante questa tendenza. Non solo per la creazione di gas serra come conseguenza dei cicli di produzione e distribuzione, ma anche per la generazione dei rifiuti elettronici. Quanti dispositivi finiscono  nel mercato dell’usato e quanti in discarica?

Non è questa la sede per analizzare il problema dell’eWaste, però è chiaro che la cultura dell’hype può essere deleteria a più livelli.

Old devices in trash

Il problema dei rifiuti elettronici o eWaste è reale. E preoccupante. (Image credit: Pixabay/Glavo)

Serve davvero fare i preorder?

Personalmente, poi, trovo che tutta l’attenzione data a quello che arriverà ci distrae da quello che abbiamo già.

Pensiamo un attimo al mondo dei videogiochi: quanti titoli compriamo ogni anno? Quanti soldi spendiamo in pre-order, mentre abbiamo una catasta di giochi arretrati che probabilmente non smaltiremo mai? Il backlog non fa che allungarsi.

Come facciamo a goderci il nostro nuovo smartphone, sapendo che fra 6 mesi esce il modello nuovo e forse avremmo dovuto aspettare un po’ per avere il non-plus-ultra allo stesso prezzo?

Questa pressione, questa ansia gioca senza dubbio a favore delle aziende, che hanno preso l’abitudine di farci pagare per il nostro nuovo gadget mesi e mesi prima che sia davvero disponibile. All’hype, infatti, si associa in modo indissolubile il preordine. È per la paura di restare esclusi, il terrore di non essere tra i primissimi ad avere il nuovo oggetto di desiderio, l’angoscia di non essere parte di un elite immaginaria: sono queste le motivazioni che ci portano a pagare cifre anche sostanziose  per prodotti ancora non disponibili, non testati, non recensiti da fonti esterne. Ci fidiamo delle promesse dei marchi, aspettiamo con ansia estatica l’arrivo del nostro ordine. E poi? Se siamo fortunati, ci godiamo il nuovo giocattolo. In caso contrario, scopriremo sulla nostra pelle che avremmo dovuto aspettare quantomeno le anteprime.

Ora, il preordine non è il male di per sé. È chiaro che, se un prodotto è a tiratura limitata, ha senso avere contezza di quanti clienti potranno essere soddisfatti prima di chiudere le vendite. Ma aziende grosse come Apple hanno davvero bisogno di farlo per i prodotti che dovrebbero essere le loro proposte standard?

È innegabile che possiamo giustificare i preordini a fronte dell’incubo che abbiamo vissuto nell’ultimo triennio, con la crisi dei componenti e la pandemia di COVID-19 a sconvolgere la nostra normalità e quella del mercato. Ma questa è solo una faccia della medaglia.

Hype + crowdfunding: non sempre funziona.

crowdfunding

Davvero TUTTE le aziende hanno bisogno del crowdfunding? (Image credit: Shutterstock / Prostock-studio)

Ci sono tanti casi in cui il preordine non ha minimamente senso. Ma cavalcare l’onda dell’hype significa ottenere velocemente ricavi che arriverebbero più avanti nel tempo.

Se siete appassionati di giochi da tavolo, forse avrete seguito tutta la vicenda di HeroQuest. Si tratta di un gioco seminale, uscito alla fine degli anni ‘80, con tantissimi fan e nostalgici, il caposaldo dei dungeon crawler. Eppure, nonostante la sua fama e la domanda elevatissima di un ritorno sul mercato, Hasbro Gaming e la sua sussidiaria Avalon Hill, hanno deciso di affidarsi al crowdfunding per riportare in vita il progetto.

Ora, non stiamo parlando di un piccolo editore che ha bisogno di finanziare i propri progetti tramite Kickstarter per motivi validi, come risorse e fondi limitati. L’azienda avrebbe potuto tranquillamente annunciare il prodotto e poi commercializzarlo in modo convenzionale. Invece, l’hype intorno a HeroQuest ha consentito a Hasbro di riversare il rischio sulle spalle dei consumatori. In questo caso è andata bene, il gioco è arrivato e molti hanno gradito, me compreso (che però ho comprato retail ben dopo l’uscita). Ma c’è una vastissima letteratura di casi in cui i sostenitori di progetti in crowdfunding si sono trovati con un pugno di mosche, senza poter recuperare i soldi investiti.

Questa piccola digressione per evidenziare un punto importante: la cultura dell’hype è deprecabile sotto diversi punti di vista.

Ma noi cosa dovremmo fare? 

“Finché non esce non esiste”

Tempo fa, una mia conoscenza online ha commentato l’ennesimo annuncio pieno di falso entusiasmo sull’ennesimo gadget con un laconico: “Finché non esce non esiste”. Sembra banale, ma è un ragionamento che può davvero cambiare le prospettive.

Che vogliamo farlo per il pianeta o per il nostro conto in banca, dovremmo iniziare a essere consumatori più consapevoli. Attendere qualche settimana o qualche mese, assicurarsi che il prodotto in questione faccia davvero ciò che promette, potrebbe essere un segnale forte.

Le aziende hanno trovato un’escamotage fantastico per risparmiare sul controllo qualità e sul testing: quanti prodotti arrivano sul mercato con problemi tecnici o bug in caso di programmi e videogiochi perfettamente risolvibili rimandando di qualche mese l’uscita? Ecco, alla fine il testing lo facciamo noi, a spese nostre, felici di aver avuto in anticipo il nostro nuovo gadget o di poter giocare in accesso anticipato all’ultimo capitolo di questo o quel videogioco.

Attendere le recensioni può essere il primo passo. Scegliere con cura i preordini e i crowdfunding da sostenere, con spirito critico. Ci sono aziende che hanno bisogno di affidarsi a questi processi, ma non tutte.

E prendiamo i leak con maggiore scetticismo. Aspettiamo che ci siano dei dati concreti prima di gridare al miracolo. Insomma, cerchiamo di fare un salto evolutivo, da consumatori a fruitori.

Se le aziende continuano a sfornare un prodotto dietro l’altro, se continuano ad alimentare la cultura dell’hype è perché, dall’altra parte, siamo noi a perpetuare il ciclo.

Spezzarlo è difficile, quasi impossibile, ma i benefici sarebbero immensi sia per le nostre finanze che per l’ambiente. E, magari, potremmo iniziare a vedere prodotti testati in modo più accurato e, quindi, migliori.

Marco Doria
Senior editor

Senior Editor and Professional Translator. Boardgaming enthusiast, Tech-lover.