Intelligenza Artificiale, si può parlare di creatività?

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Sarà capitato a tutti di indugiare dinanzi ad un dipinto, ad un murales, ad una statua o semplicemente ad un graffito. Ci siamo fermati, abbiamo cercato di coglierne il significato, di stabilire se ci piacesse o meno, in qualche modo interpretare l’opera d’ingegno di un’altra persona e ricavarne una qualche emozione. A volte ne abbiamo tratto qualcosa di positivo e questo ci è piaciuto, altre volte abbiamo percepito emozioni negative e questo potrebbe esserci piaciuto meno. Affinità elettive, percezione, ragionamento e poetica.

Un’Intelligenza Artificiale avrebbe agito così? Avrebbe solo detto "che bello" o "che schifo"? Cerchiamo di capire meglio, ma dobbiamo ragionare come una AI per farlo.

L'autore

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Nicola Grandis, fondatore e CEO di ASC27, si occupa di AI e cybersecurity

Una AI è di fondo una calcolatrice, un po’ speciale, ma una calcolatrice in essenza. Non ha un proprio gusto e non esprime giudizi, non si forma una propria idea e non ha speciali preferenze anti-isotropiche. Però leggiamo spesso di AI che scrivono, che disegnano, che suonano, ma allora? Il genio creativo, seppur a volte utilizzato per scopi spregevoli, proprio ed intrinseco della nostra specie, deve temere questa AI creativa? Stanno per sorgere giovani AI Tik-Toker o poetesse maledette che ci attanaglieranno con il loro spleen?

Nel mondo delle AI ci sono variabili che entrano e variabili che escono. Una AI può leggere milioni di poesie in pochi secondi. Ogni singola poesia, ciascun verso, qualsiasi rima, tutte le sillabe incontrate, l’ordine delle vocali ed il loro intervallarsi con le consonanti, il modo in cui le parole ci contornano di punteggiatura, il ritmo stimato della lettura, il numero di volte che una persona batterebbe la lingua sul palato leggendole, i respiri che dovrebbe fare il lettore per arrivare in fondo; ognuna di queste cose, e molte altre, andrebbero a comporre le variabili d’ingresso della nostra amica AI, aspirante poetessa.

Le AI sono in grado di macinare velocemente anche molte altre informazioni. Quindi, per ciascuna poesia letta, una AI andrebbe a cercare sul web ed in ogni altro archivio disponibile, quante stelline i lettori hanno lasciato, quante volte sia stata citata, in quanti libri la poesia venga annotata e molto altro. Queste informazioni andrebbero a comporre le variabili d’uscita della nostra amica AI, poetessa dilettante e praticante.

Nella sua parabola di apprendimento, la AI che sta imparando a scrivere creerebbe dei propri modelli, farebbe delle ipotesi sul successo o sull’insuccesso di ciò che vorrebbe scrivere. Nella prima ora di tentativi l’Intelligenza Artificiale avrà maturato la capacità poetica di un bambino, non sarebbe un granchè brava ad intrattenere persone sane di mente, ma dopo migliaia e milioni di epoche, fantamiliardi di tentativi e molta matematica, la nostra AI si ergerà al livello di un poeta di successo sotto effetto turbolento di LSD.

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Una AI può pensare “come una persona vera”? 

Quando si parla di questi processi, spesso ci si riferisce a modelli linguistici molto noti nel settore dell’Intelligenza Artificiale. Forse avrete sentito parlare di GTP, GTP-2, GTP3 ed il prossimo GPT4. Si tratta di modelli linguistici enormi in grado di analizzare milioni di variabili in ingresso e generare un’uscita, ovvero “la prossima parola”. 

Questi modelli, di fatto, dato un testo sanno fare una cosa sola, predirre “la prossima parola”. Ma c’è dell’altro: ogni volta che eseguono una predizione, riconsiderano quanto hanno generato, stimano se sono sulla strada giusta, eventualmente iniziano daccapo o riprendono l’ultimo paragrafo che hanno scritto. Il punto è che tutte queste azioni avvengono alla velocità degli elettroni che attraversano il silicio. Per questi modelli, generare una poesia si traduce nel consumare molta corrente ed eseguire milioni di test al secondo per capire se stanno riuscendo nell’imitazione del successo, o di quello che loro hanno appreso come “modello del successo”.

Ora che sappiamo “come funziona”, possiamo porci altri quesiti come “a cosa serve” e “se funziona”. 

Quando non si tratta di poesie, ma di testi pubblicitari, una AI può essere micidiale. Un creativo pubblicitario può scervellarsi per trovare la formula giusta che porterà il consumatore ad acquistare un determinato prodotto. Una AI può analizzare i dati di milioni di pubblicità, miliardi di vendite, interpretarne la stagionalità, ricavarne milioni di parametri e stimare quale sarà il nuovo “messaggio di successo” che catturerà il pubblico. In quest’attività, non si può dire che l’AI non sia stata anche “creativa” in un certo qual modo, ma di certo non lo è stata come un essere umano avrebbe potuto esserlo. Molto probabilmente, se è stata addestrata correttamente, l’AI indovinerà, generando una parola dopo l’altra quale sia il miglior messaggio per la promozione del prodotto, o più realisticamente potrà produrre 100 o 1000 nuovi slogan che poi il pubblicitario umano considererà, valuterà ed interiorizzerà per generare lui stesso il 1001 messaggio, quello davvero vincente.

Ebbene, entrati nel personaggio, possiamo fare altri esempi concreti. Si parla molto di creazioni linguistiche AI, anche se in verità gli stessi concetti si applicano anche alla creazione di contenuti visuali o, perchè no, musicali. Il meccanismo è simile a quello che abbiamo descritto sopra, sono matrici e soglie di attivazione che spingono una rete neurale a creare contenuti un pixel dopo l’altro, una nota dopo l’altra. Tutto ciò per l’AI ha un senso e, paragonato alla produzione artistica di alcuni modernissimi artisti, forse lo avrà anche per lo spettatore.

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È un dado a 6 o a 12 facce. La produzione creativa ad AI è anche la molla generatrice dei deepfake, la stessa tecnologia che si applica alle PsyOps di disinformazione, la medesima teoria che spinge le fabbriche di Troll in periodo elettorale. Qui però, stiamo parlando del “fine” per cui viene applicata, dunque di una scelta operata da uomini che possono utilizzare le AI in modo politically uncorrect, spregiudicato, errato, sbagliato o persino in modo distruttivo.

Quanti celeberrimi scrittori e quanto notevoli pittori hanno consumato enormi quantità di tempo nell'osservazione delle evoluzioni di stormi di volatili. Un carosello di piroette e fisica che genera bellezza e meraviglia. Esattamente, ogni singolo volatile cerca solo di seguire il suo istinto e la configurazione maggiormente aerodinamica rispetto al teatro di volo; ogni stormo si muove all’unisono per imprecisati motivi su cui gli esperti azzardano supposizioni. Eppure, al di sotto delle evoluzioni di uno stormo ci sono molte persone con il naso all'insù che osservano.

Torniamo al punto di partenza ed all’aforisma che spiega che <<la bellezza è negli occhi di chi la osserva>>. Capiamo quindi che probabilmente l’AI, che a sua volta ha tanto in comune con il volo degli stormi (cit. Swarm intelligence, 1988, Gerardo Beni, Susan Hackwood e Jing Wang) non ha una sua poetica o un’idea del bello, ma noi spettatori gliene assegnamo una affascinati dalle sue creazioni, o la bacchettiamo quando in GPT-4 utilizza male un congiuntivo per rispondere ad una domanda sull’esistenza di Dio.

Attendendo i critici letterari delle AI, possiamo solo ammirare la bellezza di uno stormo in volo e di una AI che dipinge, meravigliandoci se vogliamo del fatto che nessuno dei due sappia esattamente cosa stia facendo, ne voglia pavoneggiarsi delle sue produzioni artistiche.

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Nicola Grandis

Nicola Grandis is the CEO of ASC27 s.r.l., He has been working in CyberSecurity since 2001 and he is involved in innovative startup engaged on CyberSecurity and Artificial Intelligence issues. 

He is an expert in CyberSecurity, Cryptography, Artificial Intelligence, Quantum Computing, Privacy. Also, he is an Entrepreneur, author, developer and a solver consultant for la fuga dai labirinti.