I genitori LGBTQ+ nei videogiochi sono piuttosto elusivi
Genitori gay e queer nei videogiochi? Ancora non ci siamo
L’anno scorso mio marito e il nostro figlio maggiore sono andati in Inghilterra a passare qualche giorno dai suoi genitori. Il passaporto del nostro secondo figlio non era ancora pronto e lui non poteva viaggiare, così io e lui siamo rimasti a casa, negli Stati Uniti.
Non vedevo l’ora di mangiare aglio senza preoccuparmi che qualcun altro potesse sentire il mio alito, di guardare tutti quei film horror che mio marito ha troppa paura di vedere, e ovviamente di stare sveglio tutta la notte attaccato ai videogiochi.
Come genitore la mia lista di titoli “da giocare” era diventata lunga in modo imbarazzante. Ma mio figlio non stava dormendo bene e mi serviva qualcosa che non mi impegnasse troppo. Così ho dato un’occhiata al negozio digitale di Nintendo e lì ho trovato Dream Daddy.
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Dei papà da sogno
L’avevo già notato in passato per via del fatto che costa poco, e mi piaceva il fatto che ci fossero sette uomini muscolosi a guardarmi. Ma dopo aver cominciato a giocare qualcosa è cambiato: non ero mai stato uno da dating-sim, e avevo sempre preferito sparare agli zombie o livellare come un pazzo in qualche gioco di ruolo. Dream Daddy però mi ha coinvolto subito perché è segretamente rivoluzionario.
All’improvviso mi sono reso conto di avere giocato per più di 30 anni nel Mushroom Kingdom, a Liberty City, a Silent Hill e in mille altri posti… senza mai incontrare un genitore gay.
Dream Daddy significava qualcosa, e mi ha fatto riflettere. Quando abbiamo adottato i nostri figli, mio marito e io abbiamo dovuto riempire tonnellate di documenti: moduli di adozione, cartelle sanitarie, moduli legali, richieste di passaporto, informazioni sulla cura quotidiana. Nella maggior parte dei casi abbiamo dovuto cancellare “madre” e mettere “genitore 2”. Non era un gran problema, ma dopo un po’ ha cominciato a diventare irritante il dover costantemente ricordare agli altri che esisto. O peggio, dover dimostrare che è mio diritto occupare un posto che secondo molti non mi appartiene.
I videogiochi sono sempre stati la mia via di fuga, con mondi immaginari dove potevo tuffarmi, dove potevo costruirmi una nuova narrazione. Ma dopo la nascita dei miei figli non mi trovavo più nei miei mondi di fantasia.
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Non che le storie di genitori siano del tutto assenti dai videogiochi: non manca mai un eroe alla ricerca del suo lignaggio, o di un genitore perduto. Ma si tratta quasi sempre di genitori etero. E anche dove si trova un po’ di queerness, di solito in simulazioni come The Sims, sembra più che altro un add-on piuttosto che una storia autentica.
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Guardiani stoici
Ricordo di aver giocato a The Witcher 3 e avrei voluto che il mio Geralt fosse gay. Non c’erano ragioni perché non lo fosse: il continente era pieno di possibili partner, ma ho dovuto accettare una storia romantica con Triss e Yennefer. Sarebbe stato così fantastico, così significativo avere un Witcher gay impegnato a uccidere mostri, accanto alla mia figlia adottiva Ciri.
I giocatori queer sono spesso attratti da storie e personaggi secondari, ma ormai è giunto il tempo (anzi, siamo in ritardo) per storie queer complete e formate. E riguardo ai genitori queer, abbiamo già le fondamenta.
Impa è la madre surrogata di Zelda in molti titoli della serie e - evitando i cliché più scontati - la sua destrezza come guerriero e la sua fiera indipendenza le danno uno splendido tocco queer. E, a proposito di Zelda, non dimentichiamoci dello zio di Link, che aveva un delizioso cottage di campagna nella Piana di Hyrule e che è morto parlando di spade e tecniche di combattimento.
A questi stoici guardiani si potrebbero unire Rost, il padre adottivo di Aloy in Horizon Zero Dawn; Tidus, il pettinatissimo mentore di Auron in Final Fantasy X, e molti altri. Sono tutti veicoli attraverso cui, in qualche modo, i genitori queer sono sgusciati dentro ai videogiochi più famosi. O se non altro, sono personaggi che hanno dato un qualche appiglio a giocatori che sono anche genitori queer (o aspiranti tali), facendoli sentire parte della storia, in qualche modo.
La famiglia che ti scegli
Una delle cose più belle negli RPG (giochi di ruolo) è che ti puoi scegliere una famiglia, prendendo ciò che preferisci tra molte opzioni. Una scelta che tutti i giocatori fanno, anche quelli queer ovviamente. A volte si tratta di una scelta che si accompagna a grande dolore e traumi, ma è anche una delle cose più belle della comunità queer. I miei figli hanno il nonno e la nonna, ma anche padrini, madrine, zii e zie con cui abbiamo un legame profondo, anche se non di sangue.
Ho riflettuto su Dream Daddy, Geralt, Impa e Rost e ho realizzato che ho un mio modello di famiglia prescelta da molto tempo, da quando giocavo a The Secret of Mana alle medie. In quel gioco i tre personaggi, ognuno con un passato molto diverso, erano diventati una famiglia alla fine del gioco. Si guardavano le spalle a vicenda, si amavano nonostante i traumi, e alla fine si univano per salvare il mondo.
I miei gruppi in Chrono Trigger e Chrono Cross, in Final Fantasy V through XV, in Skies of Arcadia, in Persona V e in Child of Light erano tutte famiglie queer, perché me le ero scelte da solo.
Sono un millennial dei più anziani, e la mia è una delle prime generazioni che ha avuto il gaming come compagno di vita da sempre, nello stesso modo in cui le generazioni precedenti avevano avuto i libri e i film. Non parliamo abbastanza di come i videogiochi influenzino la nostra vita da genitori, ma sono sicuro che il gaming ha influenzato la mia, perché ha influenzato ogni parte di me.
È tempo che i giochi accolgano storie queer di ogni tipo. Voglio vedere me stesso e persone come me fare tutte quelle cose meravigliose che ho visto fare a personaggi etero, per anni. Ma, ancora più importante, voglio che i miei figli possano prendere un gioco e vedere famiglie come la loro che salvano il mondo.
Mike McClelland arriva da Meadville, Pennsylvania. Ha vissuto in cinque diversi continenti prima di stabilirsi nel sud degli Stati Uniti con suo marito, i loro due figli e una squadra di cani da salvataggio. È l’autore dell’antologia di racconti Gay Zoo Day e di recente ha finito un romanzo incentrato sui supereroi queer. Per saperne di più potete andare sul suo sito: magicmikewrites.com
Like Sharon Stone and the zipper, Mike McClelland is originally from Meadville, Pennsylvania. He has lived on five different continents but now resides in the American South with his husband, their two sons, and a menagerie of rescue dogs. He is the author of the short fiction collection Gay Zoo Day and recently completed a novel about queer superheroes. Keep up with him at magicmikewrites.com.