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Oblivion Remastered: nostalgia o pigra strategia? Cosa ci dice davvero questo ritorno

The Elder Scrolls 4: Oblivion Remastered
(Immagine:: Bethesda)

Il ritorno di The Elder Scrolls IV: Oblivion nel 2025 non era certo annunciato da tempo, ma aleggiava da anni come possibilità concreta. Dopo Skyrim riproposto in ogni salsa e una comunità di modder che ha continuato a tenere vivo l’interesse per i vecchi capitoli, era solo questione di tempo prima che Bethesda e Microsoft decidessero di rimettere mano al più controverso degli Elder Scrolls. Non per rifarlo da zero, ma per rilanciarlo con una nuova veste tecnica e, potenzialmente, un nuovo pubblico.

Oblivion Remaster, sviluppato da Virtuos, è una riedizione che punta tutto sull’ammodernamento grafico e sull’ottimizzazione per le piattaforme attuali, grazie all’utilizzo dell’Unreal Engine 5. Include tutte le espansioni principali, come Shivering Isles e Knights of the Nine, e propone un’interfaccia ridisegnata, caricamenti più rapidi e nuovi effetti di luce. Ma una domanda resta: è sufficiente? In un momento storico in cui il mercato si divide tra remake totali e rilanci pigri, questa remaster sembra collocarsi in un limbo produttivo difficile da giustificare con la sola nostalgia.

Oblivion è stato un titolo fondamentale per milioni di giocatori, ma è anche un gioco che il tempo non ha risparmiato. Tornare a Cyrodiil oggi, con animazioni ancora legnose, un combat system arcaico e un sistema di level scaling criticato fin dal lancio originale, può diventare un’operazione rischiosa se non accompagnata da interventi più profondi. Ed è qui che inizia la riflessione: quando una remaster serve davvero a far riscoprire un capolavoro, e quando invece si limita a capitalizzare sull’effetto memoria?

oblivion remastered

(Image credit: oblivion remastered)

Le remaster che funzionano (e quelle no)

Il concetto stesso di remaster ha assunto significati diversi negli ultimi anni. In alcuni casi, si traduce in un lavoro accurato di recupero e rilancio, capace di rinnovare un’opera senza tradirne l’identità originale. È il caso, ad esempio, di Mass Effect: Legendary Edition, che ha saputo armonizzare tre giochi nati in momenti differenti della tecnologia e del design. Bioware ha sistemato interfacce, bilanciamenti, caricamenti, restituendo coerenza a un’esperienza che rischiava di essere frammentata. Non un semplice lifting, ma un lavoro editoriale su ciò che il pubblico ricordava... e su ciò che meritava di riscoprire.

All’altro estremo, però, ci sono operazioni fallimentari, come GTA: The Trilogy - The Definitive Edition, che ha mostrato quanto possa essere deleterio riproporre titoli leggendari senza cura e senza rispetto per i dettagli. Bug, scelte estetiche discutibili, problemi di performance: tutto ciò ha evidenziato come il richiamo nostalgico, da solo, non basti.

Oblivion Remaster si colloca esattamente nel mezzo. I miglioramenti tecnici ci sono: l’Unreal Engine 5 aggiorna l’illuminazione, migliora la profondità dei paesaggi, offre nuove texture e una maggiore fluidità. Anche l’interfaccia utente è stata rivista per adattarsi agli standard attuali, così come il sistema di caricamento, ora nettamente più veloce. Tuttavia, il nucleo dell’esperienza (dal combat system al sistema di dialogo) resta sostanzialmente invariato. Non ci sono ribilanciamenti evidenti, né ritocchi alla struttura del level scaling, ancora uno degli elementi più criticati del gioco originale. Anche l’IA dei PNG, seppur leggermente migliorata, conserva lo spirito (e i limiti) del motore Radiant AI, con routine prevedibili e interazioni spesso fuori fuoco.

Un paragone utile, in questo senso, è Crisis Core - Final Fantasy VII - Reunion. Anche quello, tecnicamente, è una remaster. Ma Square Enix ha rivisitato l’intero comparto grafico, modernizzato il combat system, implementato doppiaggi completi e ridotto drasticamente i tempi morti, pur mantenendo intatta la narrativa originale. Il risultato è un’opera che si sente attuale, pur rimanendo fedele al materiale di partenza. È questa la vera chiave: riuscire a far percepire il gioco non solo come “restaurato”, ma come ancora rilevante nel panorama odierno.

Oblivion Remaster, invece, migliora il contorno ma lascia intatto il cuore, anche laddove il cuore oggi scricchiola. In un mercato sempre più competitivo, in cui il pubblico si aspetta che le vecchie glorie tornino con ambizioni moderne, è lecito chiedersi se un’operazione del genere basti davvero.

oblivion remastered

(Image credit: oblivion remastered)

Il valore della memoria

Il fascino delle remaster non risiede solo nei pixel più nitidi o nei framerate più fluidi: è nell’illusione di tornare indietro, a un momento in cui quei giochi erano nuovi, sorprendenti, persino rivoluzionari. La nostalgia è una forza potente, capace di addolcire i ricordi e oscurare le magagne. Oblivion è stato, per una generazione di giocatori, la porta d’ingresso in un open world reattivo e apparentemente infinito. Il sistema di dialogo a ruota, le missioni delle gilde, le prime sperimentazioni con l’intelligenza artificiale emergente: tutto sembrava gigantesco, nuovo, liberatorio. E in un certo senso lo era.

Ma il tempo non è stato gentile con Oblivion, e la memoria non basta a mascherare certe rigidità. Il level scaling è ancora presente e, in larga parte, invariato: i nemici crescono di livello insieme a te, annullando spesso il senso di progressione. Il combattimento resta macchinoso, privo del peso e del ritmo cui molti si sono abituati negli action RPG più recenti, elementi come la struttura stessa del gioco, i dialoghi scollegati, le animazioni talvolta grottesche e l’IA elementare tradiscono inevitabilmente la sua epoca.

Il problema è che Oblivion Remaster non cerca nemmeno di reinterpretare queste debolezze, le accetta come “parte del pacchetto”, contando sul fatto che il giocatore affezionato ci passerà sopra. Ma è proprio qui che il discorso si fa interessante: una remaster non dovrebbe solo conservare, ma anche contestualizzare. Dovrebbe offrirci un ponte tra la memoria e il presente, non una cartolina impolverata.

Oggi più che mai, il pubblico è consapevole. Le aspettative non riguardano solo la grafica, ma anche il rispetto per il tempo del giocatore, la qualità della vita, la capacità di adattare un’opera del passato agli standard attuali. Ed è un equilibrio difficile da trovare, che pochi titoli hanno davvero centrato. Il rischio, per chi non ci prova nemmeno, è restare bloccati nel limbo: troppo vecchi per i nuovi, troppo cambiati per i nostalgici.

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(Image credit: oblivion remastered)

Un classico congelato nel tempo

Oblivion Remaster è, a conti fatti, una fotografia ad alta risoluzione di un gioco che appartiene a un’altra epoca. Non lo riscrive, non lo riflette, non lo rielabora. Lo ripropone. E lo fa con una cura tecnica che, per quanto apprezzabile, non riesce a nascondere l’assenza di visione editoriale. L’esperienza è rimasta cristallizzata: chi lo ha amato ritroverà (quasi) tutto come lo ricordava; chi lo scopre oggi, invece, si troverà davanti un prodotto che parla un linguaggio videoludico distante, forse troppo.

Nel frattempo, l’industria è cambiata. Oggi i remake ridefiniscono le opere originarie, le rendono di nuovo influenti, le adattano a un pubblico che pretende di essere coinvolto in modo nuovo, non solo commosso dal ricordo. Resident Evil 4, Final Fantasy VII Remake, persino Shadow of the Colossus sono esempi di come si possa rimanere fedeli al passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Oblivion, invece, guarda indietro. E si ferma lì.

È un’occasione colta a metà, uno slancio trattenuto. Se da un lato è bello rivedere Cyrodiil con una nuova luce, dall’altro è impossibile non chiedersi: non meritava qualcosa di più? Non meritavamo tutti qualcosa di più?

Nato nel 1995 e cresciuto da due genitori nerd, non poteva che essere orientato fin dalla tenera età verso un mondo fatto di videogiochi e nuove tecnologie. Fin da piccolo ha sempre esplorato computer e gadget di ogni tipo, facendo crescere insieme a lui le sue passioni. Dopo aver completato gli studi, ha lavorato con diverse realtà editoriali, cercando sempre di trasmettere qualcosa in più oltre alla semplice informazione. Amante del cioccolato fondente, continua a esplorare nuove frontiere digitali, mantenendo sempre viva la sua curiosità e la sua dedizione al settore.