Doom, il gioco che ha cambiato per sempre il gaming su PC

Doomguy che spara a un demone aggrappato al suo braccio
(Immagine:: Id Software)

È passato un quarto di secolo dalla prima volta in cui Doom si è fatto strada nei computer degli utenti di tutto il mondo, tanto che oggi c'è tutta una generazione che non mai mai sentito parlare di questo capolavoro, figuriamoci averlo giocato.

Ma nonostante la sua età, questa icona continua a vivere in ogni singolo esponente del genere uscito dopo. Ogni sparatutto in prima persona (o FPS) dovrebbe rendere omaggio al seminale titolo di Id Software che ha dato origine al genere come lo conosciamo oggi.

Non molti giochi possono definirsi delle vere e proprie pietre miliari, ma Doom ne ha pieno diritto. Guardiamo insieme come Doom ha contribuito a cambiare per sempre il gaming su PC.

Radici di sangue

Innumerevoli sono gli elementi che i programmatori John Romero e John Carmack hanno contribuito a rendere popolari nel 1993, concetti che sono andati a costituire le fondamenta non solo per il genere shooter, ma per i videogiochi occidentali nella loro interezza per i decenni a seguire.

L'uso di grafica 3D immersiva, in un momento in cui i giochi erano in 2D con sprite a 16 bit, è stato davvero rivoluzionario. Inoltre, Doom ha gettato le basi per il mondo del multiplayer in rete. Ha promosso l'uso di mod (o "WAD", come erano noti i file all'epoca), senza dimenticare la fisica delle armi e la complessità del level design. D'altronde, c'è un motivo per cui una marea di titoli usciti successivamente viene etichettata con il termine "clone di Doom".

Il titolo ha portato una ventata d'aria fresca in modi molto diversi. Piuttosto che appesantire il giocatore con una narrativa superflua e la presenza ingombrante di una "lore" (cioè tutto il sotto-testo narrativo che dà spessore al mondo di gioco), Id Software ha preferito fare in modo che fossero i livelli stessi a raccontarci una storia. 

Gli angoli netti e i corridoi claustrofobici che si aprivano poi ad arene più vaste, le stanze segrete pieni di tesori e trappole: era un incubo e un parco giochi allo stesso tempo, offrendo un'alternativa molto appetibile rispetto ai tunnel ripetitivi di Wolfenstein 3D.

Dall'uso intelligente del teletrasporto per disorientare il giocatore che viene scagliato in una nuova zona della mappa all'oscurità quasi totale di alcuni ambienti, alternati ad altri illuminati a giorno, Doom era un vero e proprio labirinto del caos, molto tempo prima del concetto di generazione procedurale che permea una grossa fetta di titoli moderni.

Imparando a memoria la mappa, la posizione dei segreti e dove trovare le armi migliori, Doom metteva al centro il giocatore come pochi altri giochi dell'epoca.

Una storia di violenza

Naturalmente, avendo creato una vera e propria sottocultura e ridefinito il concetto di sviluppo di giochi, era naturale aspettarsi l'arrivo di vari cloni. Tuttavia, fra le varie copie, alcuni sviluppatori riuscirono a portare i principi dettati da Doom al livello successivo.

Marathon, per fare un esempio, del 1994 (uscito dunque un anno dopo Doom), rese il gioco in multiplayer più fluido e user-friendly (un concetto che Bungie porterà all'estremo con Halo: Combat Evolved sette anni più tardi). Ci vorranno altri cinque anni prima che il deathmatch diventi una pietra miliare del mondo online, nel 1999, tuttavia le radici di Doom continuavano a diffondersi nel profondo.

Nello stesso anno, System Shock, il precursore di Bioshock, insieme alla sua pletora di cloni, mostrava una certa ispirazione al titolo di Id.

Il gioco prendeva il senso di terrore instillato da Doom e rendeva il giocatore ancora più vulnerabile, dando maggiore enfasi agli enigmi e alla trama. Dunque anche questo era un titolo che anticipava i tempi (parliamo dei primi anni '90), soprattutto se pensiamo alla grafica 3D e al motore fisico.

Il DNA di Doom continuava a emergere in vari shooter dell'epoca. E chi avrebbe mai detto che anche i giochi su licenza di Star Wars ne avrebbero giovato? E che addirittura avrebbero contribuito a far evolvere il genere? Con Star Wars: Dark Forces, LucasArts disse la sua in modo molto chiaro, creando un'altra pietra miliare della storia degli FPS.

Star Wars: Dark Forces

In precedenza, gli shooter si dipanavano principalmente sull'asse X-Y per il movimento (potevate guardare a sinistra e a destra ma non in alto e in basso). Grazie anche al Jedi Engine, i giocatori di Dark Forces potevano guardarsi intorno davvero in 3D, e questo, insieme ai livelli che si estendevano anche in altezza, ha creato uno degli sparatutto più immersivi di sempre.

Nei tre anni successivi alla prima uscita di Doom (dicembre 1993), la grafica 3D ha subito dei veri e propri balzi evolutivi, e gli studi iniziarono a sperimentare nuovi modi di innovare sia gli aspetti estetici che la programmazione. Duke Nukem 3D non ebbe la stessa influenza di Doom, ma gli va riconosciuto il merito di aver mescolato vari elementi in un calderone variegato e divertente.

I livelli erano pieni di aree segrete e scorciatoie. Le armi erano assurde e iper-violente, e nessuno è riuscito a eguagliare l'umorismo di Duke. Si trattava di un gioco quasi satirico, ma il DNA di Doom era più che evidente.

Nello stesso anno, Bethesda Softworks pubblicò The Elder Scrolls II: Daggerfall, creando ambienti non più lineari, allontanandosi dal concetto di "corridoio". 

Abbracciando gli stilemi dei giochi di ruolo tradizionale, Daggerfall fu illuminante nel suo approccio al level design orientato al cosiddetto "open world" (un nuovo del tutto nuovo all'epoca) e con una storia di più ampio respiro.

In tutta onestà, era un passo da gigante rispetto a The Elder Scrolls Arena del 1994, ma sebbene fosse l'esatto opposto di Doom in termini di velocità e purezza delle meccaniche (se consideriamo trama e mondo di gioco), doveva ancora molto al vecchio gioco Id.

The Elder Scrolls

La scena delle mod

Nel 1996 i creatori di Doom rilasciarono un altro titolo enorme. Quake era un'evoluzione incredibile nel genere, rendendo gli elementi che portarono Doom al successo ancora più irresistibili.

Laddove Doom impiegava sprite bidimensionali in ambienti 3D, il nuovo motore di Quake utilizzava risorse in 3D interamente renderizzate, e la differenza era palese. I livelli erano più intricati, i nemici più dettagliati e le arene multigiocatore divennero subito le migliori del decennio, se includiamo anche l'incredibile Quake 3 Arena.

Verso la fine degli anni '90, la popolarità di Doom continuava a crescere a dispetto dell'età. Il motivo è presto detto: il rapporto d'amore tra gli sviluppatori e la community dei modder. I programmatori della generazione successiva iniziarono creando i propri livelli di Doom, giocando con il motore di gioco e trovando nuovi modi ingegnosi di giocare online.

Lo stesso John Carmack si spinse al punto di rilasciare il codice sorgente di Doom nel 1997 (nello spirito dell'etica hacker che ha sempre perseguito). Ciò ha definito un precedente per i contenuti realizzati dai fan e ha plasmato letteralmente il futuro, dalla genesi di Counter-Strike da Half-Life all'incredibile mole di mod per The Elder Scrolls V: Skyrim diversi anni dopo.

Prima dell'inizio del nuovo millennio, il multiplayer in rete subì un altro salto evolutivo, dal momento che il match-making online divenne un metodo accessibile e tecnicamente perfetto per mettere in contatto i fan degli shooter.

Entro un mese nel 1999, la community di giocatori su PC vide il deathmatch raggiungere nuove vette con Quake 3 Arena e Unreal Tournament. Ispirati dall'immensa creatività della comunità di modder e dal lavoro incredibile di Id, questi due titoli resero il multiplayer online veloce, divertente e rigiocabile all'infinito.

L'avvento del multiplayer online rese giustizia a uno dei tratti meno compresi di Doom, ovvero il fatto che il movimento, il tempismo e la posizione sono molto più importanti della mera potenza di fuoco.

Per i titoli come Unreal Tournament e Quake 3 Arena, la velocità era tutto. Le piattaforme di lancio, i teletrasportatori e la raccolta di armatura, punti salute e potenziamenti arrivavano direttamente dalla filosofia di Doom relativamente al movimento tattico. Doom è da sempre incentrato sulla sopravvivenza: imparare a usare ogni risorsa disponibile fa la differenza fra un sopravvissuto disperato e un dio intoccabile.

Doom Eternal

Naturalmente, nell'epoca moderna, gli shooter hanno preso strade diverse, laddove nuovi sistemi e idee hanno appesantito un po' il genere. I punti esperienza, le meccaniche di creazione di oggetti ed equipaggiamento, i potenziamenti estremi e storie sempre più complesse hanno spinto il genere in diverse direzioni.

A suo modo è positivo, dato che i giochi dovrebbero sempre tendere all'evoluzione, ed è prerogativa degli sviluppatori inseguire sempre l'innovazione, ma tutto ciò alimenta l'appetito per giochi più semplici e diretti.

Con sole sei armi a disposizione, Doom non aveva bisogno di un arsenale in stile Matrix con armi potenziabili, alberi delle abilità e migliaia di personaggi. Tutto ciò che serviva era una mente in grado di risolvere problemi e dita veloci sul grilletto. C'era purezza nella sua semplicità. Per qualcuno è uno sparatutto arcade, per altri una creatura più complessa, che si nutre di strategia, segreti e altro.

Il reboot del 2016 ha mantenuto in parte la purezza del gioco originale, focalizzandosi su una violenza creativa e sulla strategia del ritmo, del movimento e dell'uso intelligente delle posizioni sulla mappa. E il sequel del 2019, Doom Eternal, continua in questa direzione, anche se ha perso un po' il fascino spartano dei primi '90 del predecessore.

A dispetto delle tecnologie "inferiori" e delle risorse limitate, Doom ha messo in ombra centinaia di altri giochi, e ha sfidato anche il tempo. Ancora adesso, ogni pixel è esattamente dove dovrebbe essere e ogni elemento ha il proprio scopo. Doom, in sostanza, si avvicina pericolosamente alla perfezione, oggi come ieri.

Marco Doria
Senior editor

Senior Editor and Professional Translator. Boardgaming enthusiast, Tech-lover.