Taiwan, TSMC, la guerra impossibile tra USA e Cina
Taiwan è al centro della contesa
Di recente, CNBC ha realizzato un podcast nel quale si parla di una possibile alleanza tra le principali nazioni produttrici di semiconduttori per limitare l’espansione cinese nel settore.
Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone stanno valutando la formazione di un’alleanza atta a consolidare la loro posizione nel settore dei semiconduttori, in modo da garantire una continuità produttiva divenuta fondamentale a fronte della grande importanza strategica assunta dai chip.
Al contempo, questa unione mira a impedire che la Cina diventi un attore dominante in un ambito produttivo di cruciale importanza.
La forte dipendenza dai chip da parte delle principali industrie mondiali sta rendendo questi piccoli componenti determinanti anche a livello geopolitico. Del resto, i chip vengono utilizzati per realizzare gran parte dei dispositivi tecnologici di uso comune: smartwatch, smartphone, TV, automobili, moto, droni, elettrodomestici e via dicendo.
In un clima di forti tensioni internazionali come quello che stiamo vivendo da diversi mesi, questa ipotesi sembra piuttosto concreta e fa talmente paura che alcuni tra gli stati più potenti al mondo stanno cercando di mettersi al riparo dai rischi che potrebbe comportare.
Non è un caso che Taiwan, l’isola a nord della Cina dalla quale provengono gran parte dei chip presenti nei nostri PC e smartphone, sia al centro di una contesa che vede come principali attori proprio la Cina, che avanza pretese sul territorio e gli Stati Uniti, che ne sostengono l’indipendenza.
Se un singolo paese riuscisse ad avere il controllo o il predominio sulla produzione di semiconduttori, potrebbe influire fortemente su tempi e costi di produzione di diversi settori industriali a livello globale
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Tra i principali motivi di una presa di posizione tanto netta da parte degli States c’è senza dubbio lo spettro del dominio cinese sull’industria dei semiconduttori, e in particolare su TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co), il più grande produttore di chip a livello mondiale.
Alla luce di quanto detto finora, un’unione tra più paesi produttori al fine di evitare il monopolio cinese sui chip potrebbe essere necessaria nel lungo periodo. Detto questo, la Cina è il primo importatore di chip a livello globale e la sua esclusione dal mercato dei semiconduttori potrebbe costare caro ai grandi produttori come Samsung, che ha già espresso dubbi sulla legittimità dell’alleanza.
La corsa ai chip è già iniziata
I chip, oltre ad essere ampiamente utilizzati per la produzione di buona parte dei dispositivi tecnologici di uso comune, sono fondamentali anche per altri settori di importanza cruciale come le applicazioni AI e l’industria bellica.
Essendo dei componenti chiave nella produzione industriale moderna, i semiconduttori rappresentano una vera e propria arma da rivolgere contro il nemico, motivo per cui stanno assumendo un grande peso a livello geopolitico.
Ricorderete bene come, nel periodo più duro della pandemia da Covid-19, lo stop imposto agli impianti produttivi abbia generato una crisi dei componenti a livello globale, provocando enormi ritardi nella produzione e nelle consegne in diversi settori importanti. Di conseguenza, abbiamo assistito a un aumento sproporzionato dei prezzi (pensate alle schede video) e a una congestione del mercato che ha causato ingenti danni economici ad aziende e distributori.
La crisi, seppur momentanea, ha evidenziato l’enorme importanza dei chip e spinto gli Stati Uniti e i paesi amici a mobilitarsi per raggiungere un’indipendenza produttiva che, al momento, ancora non c’è.
La catena di approvvigionamento dei semiconduttori è complessa e include diversi passaggi che vanno dalla progettazione, al confezionamento, alla produzione. Ad esempio l’olandese ASML è l'unica azienda al mondo in grado di fornire i macchinari necessari per la produzione dei chip più avanzati; per questo, anche se i Paesi Bassi non vengono annoverati tra i produttori di chipset, il loro contributo è di vitale importanza per la creazione di nuove fonderie.
Gli Stati Uniti sono tra le più potenti nazioni al mondo a livello produttivo, ma negli ultimi 15 anni TSMC e Samsung, con sedi rispettivamente in Taiwan e Corea del Sud, hanno dominato il settore dei semiconduttori, lasciando nettamente indietro la statunitense Intel.
I due paesi asiatici rappresentano circa l'80% del mercato mondiale dei chip e producono processori per aziende statunitensi del calibro di Apple, Qualcomm, Nvidia e AMD.
Dato che gran parte della produzione avviene presso TSMC, se la Cina dovesse occupare o attaccare militarmente Taiwan, durante gli scontri potrebbe verificarsi un forte rallentamento della produzione e una conseguente nuova crisi del settore, che provocherebbe un effetto a catena di dimensioni notevoli mettendo in crisi i sistemi produttivi globali.
In aggiunta, se il governo cinese riuscisse ad ottenere il controllo politico e militare su Taiwan potrebbe imporre tempi e modalità di produzione delle sue industrie, oltre ad ottenere l’accesso a una tecnologia molto più avanzata rispetto a quella utilizzata nelle fonderie cinesi SMIC (Semiconductor Manufacturing International Corporation).
Una cosa è certa: vista la complessità della catena di approvvigionamento dei semiconduttori è improbabile che un solo paese riesca a decidere le sorti dell’intero mercato, ma un grande produttore come TSMC può sicuramente influenzare fortemente l’andamento del settore a livello globale, motivo per cui Taiwan rimane una pedina fondamentale nello scacchiere geopolitico mondiale.
D’altra parte, proprio per l’importanza strategica globale di TSMC, gli Stati Uniti finora non hanno nascosto il loro desiderio di difendere l’isola. Le navi della marina USA pattugliano costantemente le acque in quella zona, e le recenti “visite” diplomatiche sembrano fatte apposta per tenere alta la tensione e ricordare a Pechino che un’operazione militare sarebbe una cattiva idea.
Dalla Cina, allo stesso tempo, non mancano le dichiarazioni sul desiderio di “riassorbire” Taiwan nel territorio nazionale. Il rischio di uno scontro diretto con Washington tuttavia è un notevole deterrente.
E nessuno dei due contendenti, probabilmente, è disposto a rischiare che TSMC rallenti o arresti del tutto la produzione, anche se per un periodo di tempo limitato. L’impatto sulle catene di produzione di tutto il mondo sarebbe devastante, probabilmente da far sembrare uno scherzo da bambini lo shortage degli ultimi due anni.
Ed ecco perché si sta lavorando a questa nuova alleanza. Così come l’Europa intende interrompere la dipendenza dal gas russo, tutto il “mondo occidentale” ha preso atto che dipendere da una fabbrica a Taiwan potrebbe essere un problema. Soprattutto in un mondo che sembra stia tornando indietro, verso una realtà un po’ meno globalizzata.
Un appello per frenare la Cina
In un'intervista rilasciata a CNBC, Pranay Kotasthane, presidente del Programma di Geopolitica ad alta tecnologia presso la Takshashila Institution, ha affermato che tra i motivi dell’alleanza, oltre alla paura di un monopolio strategico della produzione si aggiunge il timore che i chip vengono utilizzati per azioni di spionaggio.
“La concentrazione del potere nelle mani di poche economie e aziende rappresenta un rischio per la continuità aziendale, soprattutto in luoghi di contesa come Taiwan” ha poi aggiunto Kotasthane.
Pechino considera Taiwan una provincia rinnegata e, dall’inizio del conflitto Ucraino, ha più volte ribadito la sua volontà di ricongiungere l'isola con la Cina continentale.
Nel mese di maggio, al culmine dei due anni di crisi del settore dei semiconduttori, il presidente Americano Joe Biden ha visitato gli stabilimenti produttivi Samsung in Corea del Sud. Quasi in contemporanea, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo, ha incontrato il suo omologo giapponese Koichi Hagiuda per discutere di cooperazione in settori quali i semiconduttori e il controllo delle esportazioni.
Il mese scorso, in seguito all’escalation di tensione tra Cina e Taiwan, il presidente taiwanese Tsai Ing-wen è andato in visita negli Stati Uniti per rafforzare i rapporti commerciali tra le nazioni, affermando di voler continuare a produrre i chip in totale autonomia, scegliendo liberamente i suoi partner commerciali.
Nonostante l’esistenza di un piano di cooperazione tra Stati Uniti, India, Giappone e Australia (Quad), di recente gli States hanno promosso la creazione di un'alleanza chiamata "Chip 4" che include Corea del Sud, Giappone e Taiwan.
Lo scopo principale di tali accordi è di riunire i paesi produttori di chip per creare una rete produttiva sicura, inattaccabile e duratura in modo da garantire la continuità produttiva. In tutto ciò, c’è un dettaglio fondamentale: la Cina non è coinvolta nel progetto, dato che quest’ultimo è pensato appositamente per evitare che la produzione di chip finisca (come molte altre) in mani cinesi.
La Cina deve affrontare sfide importanti
Gli Stati Uniti hanno già provato a escludere la Cina dal mercato dei semiconduttori critici e dagli strumenti per produrli ponendo dei limiti alle esportazioni.
Paul Triolo, responsabile delle politiche tecnologiche presso la società di consulenza Albright Stonebridge, ha affermato che: "L'obiettivo di tutti questi sforzi è impedire alla Cina di sviluppare la capacità di produrre internamente semiconduttori avanzati"
Nell’ultimo decennio la Cina ha investito miliardi di dollari per potenziare le sue linee produttive (comprese quelle di semiconduttori), con l'obiettivo di aumentare l'autosufficienza e ridurre la dipendenza dalle aziende straniere.
Del resto, come spiegato nel paragrafo precedente, la catena di approvvigionamento di chip richiede una grande concomitanza di elementi che costringono alla cooperazione tra nazioni. La Cina, ad esempio, sta investendo molto nella progettazione dei chip e ha fatto dei notevoli passi in avanti in quest’ambito, ma fatica a procurarsi strumenti e attrezzature produttive che può acquistare esclusivamente dall’estero.
Il più grande produttore cinese di chip si chiama SMIC e lavora da anni con aziende internazionali di vario genere ma, al momento, dispone di una linea produttiva piuttosto arretrata rispetto agli standard dei concorrenti TSMC e Samsung. Basti pensare che il processo produttivo più avanzato di cui dispone SMIC si ferma a 14nm, mentre TSMC si appresta ad avviare la produzione dei primi processori N3 realizzati con il nodo produttivo a 3nm.
In questo momento il più grande ostacolo per la Cina sta proprio nell’impossibilità di produrre dei chip avanzati come quelli che escono dalle fonderie Samsung e TSMC.
Va da sé che un'alleanza tra i maggiori produttori mondiali di chipset (esclusa la Cina) potrebbe rallentare ulteriormente il processo evolutivo delle aziende tecnologiche cinesi.
Un'alleanza impossibile?
Del resto ci sono molti ostacoli sul percorso che potrebbe portare alla realizzazione dell’alleanza promossa dagli US.
In un'intervista rilasciata al Financial Times, Ahn Duk-geun, ministro del commercio della Corea del Sud, ha dichiarato che ci sono disaccordi tra Seul e Washington in merito alle continue restrizioni all'esportazione di macchinari e strumentazioni per la produzione di semiconduttori verso la Cina.
Le parole di Ahn hanno un certo peso e fanno presupporre che il patto sia tutt’altro che scritto: "La nostra industria dei semiconduttori è molto preoccupata di ciò che il governo statunitense sta facendo in questi giorni".
I motivi di tale incertezza sono piuttosto semplici: la Cina è il più grande importatore di chip al mondo e rappresenta un mercato chiave per le aziende produttrici di chip a livello globale, dalle big statunitensi come Qualcomm alla coreana Samsung.
L’azienda coreana non è l’unica che rischia di rimetterci da eventuali restrizioni sul mercato cinese, motivo per cui la realizzazione dell’alleanza, a conti fatti, è molto più difficile di quanto si potrebbe pensare.
Fonte: CNBC
Marco Silvestri è un Senior Editor di Techradar Italia dal 2020. Appassionato di fotografia e gaming, ha assemblato il suo primo PC all'età di 12 anni e, da allora, ha sempre seguito con passione l'evoluzione del settore tecnologico. Quando non è impegnato a scrivere guide all'acquisto e notizie per Techradar passa il suo tempo sulla tavola da skate, dietro la lente della sua fotocamera o a scarpinare tra le vette del Gran Sasso.