La crisi dei semiconduttori riguarda tutti noi, ecco perché
Non è solo l'irreperibilità di schede video o PS5, ma un problema sistemico che ci riguarda da vicino
Cosa accomuna l’indisponibilità della Playstation 5 e delle RTX 3080 sui mercati globali al dettaglio e la chiusura per sette giorni, a maggio, dell’impianto Stellantis (Fiat) di Melfi? Da alcune settimane è in atto uno stravolgimento delle condizioni che, in tempi normali, regolano i processi di approvvigionamento di componenti elettronici.
E’ l’onda lunga della pandemia con la quale, solo in Italia, stanno facendo i conti centinaia di aziende che producono componenti e dispositivi elettronici. Un’onda meno rumorosa rispetto a quella che ha investito settori come lo spettacolo, la ristorazione, il turismo, l’abbigliamento, ma non meno devastante. La partita si gioca nei capannoni industriali che troviamo alle periferie delle città. Parliamo di piccole e medie aziende che contano mediamente 15 dipendenti.
La crisi si sviluppa lungo due direttrici: l’irreperibilità dei semiconduttori e l’innalzamento vertiginoso dei prezzi dei componenti che invece continuano a essere disponibili.
Potremmo definire i chipset come il cervello dei dispositivi sopra menzionati. Sono nodi di comunicazione che, grazie alla connessioni da essi generate e in cui sono inseriti, modificano il nostro quotidiano. Ci consentono di giocare, di guidare, di accorgerci di presenze estranee nelle nostre abitazioni, di respirare aria migliore, di immagazzinare energia e hanno innumerevoli altre funzioni.
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L’origine
Come si è giunti a questa situazione? È necessario volgere lo sguardo a febbraio e marzo 2020, in Cina. Il lockdown deciso dalla Repubblica Popolare ha costretto i grandi produttori di componentistica a chiudere le fabbriche. Di lì a poco si è assistito al drenaggio di risorse - i componenti, appunto- da parte di due settori: elettromedicale e telecomunicazioni. Il primo per la necessità di produrre dispositivi necessari per contrastare la pandemia. Il secondo perché lo smart working ha richiesto - e richiederà - investimenti massicci in tecnologie. Un mix esplosivo, soprattutto in riferimento alla conseguenze sui produttori minori.
A essere minata è la stabilità delle produzioni di qualsiasi dispositivo contenente uno o più circuiti stampati: termostati, cellulari, inverter solari, smartphone, centraline per automobili, decoder, purificatori d’aria, fotocamere, rilevatori di gas.
Andrea Rossi è fondatore e CEO di ICS Industrial (www.sayics.com/it).
La crisi vista dalla Silicon Valley dell’hardware
Per comprendere questa situazione, è opportuno guardare nuovamente alla Cina e alla sua capitale tecnologica: Shenzhen. Fino a 40 anni fa piccolo villaggio di pescatori e ai giorni nostri metropoli da oltre 12 milioni di abitanti, al confine con Hong Kong. Da qui passa il 90% dell’elettronica mondiale. Qui hanno sede giganti come Tencent (WeChat) e Huawei, mentre la Foxconn produce gli iPhone, in una gigantesca fabbrica che conta oltre duecentomila tra operai e impiegati.
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L’Economist afferma che non esiste alcun luogo al mondo paragonabile a Shenzhen per chi si occupi di hardware innovation. E la rivista Wired l’ha inserita nel suo reportage Future Cities quale ecosistema in grado di dettare legge a livello globale nell’ambito delle tecnologie elettroniche e digitali.
I distributori ufficiali quali Arrow e Avnet, multinazionali che operano a supporto del settore dell’elettronica, si trovano nella spiacevole situazione di dover cancellare gli ordini programmati da piccole e grandi aziende di produzione: i semiconduttori non si trovano. Ecco allora che i mercati asiatici assumono una ancora maggiore centralità nei processi di acquisto. Il cosiddetto mercato libero dei componenti consente alle predette organizzazioni di individuare stock vitali per proseguire con la produzione, riducendo i rischi legati al ritardo nelle consegne e mitigando l’impatto sociale di quanto descritto in queste righe: pensiamo alle migliaia di addetti tuttora costretti alla cassa integrazione.
La luce in fondo al tunnel
Non esistono proiezioni in grado di prevedere la fine di quanto descritto. Questo per fattori come l’assoluta novità costituita dalla pandemia globale, in grado di stupire a più riprese, e l’attuale incapacità dimostrata dalle case produttrici di componenti di fornire informazioni certe circa una ripresa della produzione a ritmi pre-covid.
A fare da contraltare negativo a un ritorno alle condizioni di normalità, l'inarrestabile ascesa della domanda di componenti derivante dallo sviluppo tecnologico di Paesi come India e Cina e dall’avanzamento di settori fino a pochi anni fa considerati marginali, come il trasporto elettrico e lo smart working.
I segnali provenienti dai produttori di componenti non lasciano dunque spazio a manifestazioni di ottimismo, e probabilmente un’inversione di tendenza sarà possibile non prima dell’inizio del 2022.
Le azioni auspicabili per la ripresa
La pandemia ha svelato una notevole criticità affrontata da molti piccoli produttori, non solo italiani: l’incapacità di mettere in atto, in condizioni di normalità, una programmazione adeguata degli acquisti. In questi giorni assistiamo all’emersione di problemi di approvvigionamento che molti produttori avrebbero potuto evitare, almeno in parte, se solo avessero acquistato nel 2020 i componenti necessari alla produzione per l’anno successivo.
Le avvisaglie di una tempesta perfetta erano purtroppo visibili e pochi sono stati gli imprenditori e i manager capaci di anticipare il problema, talvolta non supportati dalle funzioni marketing e commerciale delle proprie aziende, che esprimendo timori per i cali dei fatturati hanno evidenziato una timidezza tale da generare sfiducia nella ripresa.
L’augurio per tutti noi amanti dell’innovazione è credere in decisioni, a livello globale, che non si occupino unicamente di far ripartire le palestre e i bar, ma che consentano di guardare con fiducia a un futuro ricco di tecnologie utili alle diverse sensibilità, passioni e necessità riconducibili alla vita di ognuno di noi.
L’elettronica può migliorare il nostro rapporto con il quotidiano, rafforzare le connessioni tra uomini e macchine e persino salvare vite. Ecco perché questa crisi ci tocca da vicino: un circuito stampato non è poetico come una cena a lume di candela. Ma l’impatto sulle nostre vite è incommensurabilmente maggiore.
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