Smart working, gli statali vogliono continuare a lavorare da casa

(Immagine:: Shutterstock / Mila Pashkovets)

La cosiddetta fase tre è alle porte. Nonostante la maggiore libertà di movimento, il distanziamento sociale è l’elemento cardine con cui tuteliamo (e tuteleremo ancora per un po’) la nostra salute. In questo contesto, lo smart working ha assunto sempre maggiore centralità: favorito e incentivato da decreti e leggi, nonché raccomandato con forza dai nuovi protocolli sanitari, è riuscito a cambiare il nostro modo di vedere il mondo del lavoro. 

A prova di questo, un recente studio effettuato da Forum PA (disponibile qui in versione integrale) cerca di fare un bilancio di questi tre mesi, analizzando pregi e difetti dello smart working, ma soprattutto se e quanto sia apprezzato dai dipendenti e dagli organi della pubblica amministrazione.

Prima della pandemia buona parte delle pubbliche amministrazioni non prevedevano forme di lavoro a distanza. Viene rilevato infatti che in quasi il 40% delle PA non era possibile lavorare da remoto e solamente nell’8,6% dei casi era una forma di lavoro diffusa. La pandemia ha drasticamente cambiato questi dati.

Secondo lo studio effettuato, solo il 4,7% dei dipendenti pubblici lavora anche in questa situazione di emergenza in ufficio a tempo pieno, mentre ben il 92,3% lavora da remoto o con forme di lavoro ibride. Il dato comunque più interessante è che quasi 3 dipendenti su 4 rimangano in smart working per tutto il loro orario di lavoro, senza doversi più allontanare da casa per andare in ufficio. 

Manca formazione e strumentazione adeguata

La risposta a questo cambiamento è stata repentina e radicale, anche se non sono mancati i problemi. Il sondaggio sottolinea come mancassero dotazioni tecnologiche adeguate, facendo ricadere queste carenze e i costi per colmarle sul dipendente. 

Guardando alla strumentazione utilizzata, il 68% dichiara di aver utilizzato il proprio PC, il 77% il proprio telefono cellulare e ben il 95% ha dovuto ricorrere alla propria connessione internet domestica. Per quanto al giorno d’oggi possa essere “normale” disporre di questi dispositivi e una connessione internet, il mondo del lavoro è un contesto esigente, in cui i bisogni tecnologici possono essere superiori rispetto alla strumentazione che tutti noi abbiamo per guardare un film o rilassarsi navigando sul web. A questo proposito infatti, ben il 21,8% degli intervistati ha avuto problemi di connessione e il 19,3% non riteneva le attrezzature fornite o già in suo possesso idonee per affrontare questa nuova forma lavorativa.

Il distanziamento sociale ha quindi accelerato il processo di digitalizzazione del nostro Paese, ma ha posto nuove contraddizioni. Oltre a tutelare la salute di tutti, si sarebbe dovuto pensare anche a rendere i lavoratori in grado di affrontare questo cambiamento, offrendo strumentazioni adeguate tramite le imprese o gli enti e, contemporaneamente, lavorando seriamente sulle infrastrutture di telecomunicazioni del nostro Paese.

Da mettere a sistema con queste esigenze, il 68,3% degli intervistati ritiene carente anche la formazione che ha ricevuto riguardo il lavoro da remoto. Per quanto le mansioni potessero essere simili a quelle svolte in ufficio, è probabile ci sia stato bisogno di ricorrere a nuovi software o nuovi metodi di lavoro vista la distanza tra i colleghi e i clienti. La formazione non dovrebbe basarsi esclusivamente sulla volontà della singola persona di imparare una mansione o migliorarsi, sarà necessario quindi pensare per i prossimi mesi, soprattutto nel caso in cui il lavoro da remoto diventi strutturale, di rispondere alle esigenze non solo tecnologiche ma anche conoscitive dei lavoratori.

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Anche a fine emergenza si vorrebbe continuare a lavorare da remoto

Per quanto queste carenze tecnologiche e di formazione siano diffuse, l’esperienza è considerata assolutamente positiva, tanto da voler essere continuata anche nel futuro.

Sebbene il sondaggio rilevi una necessità di formazione, ristrutturazione dei processi amministrativi e delle proprie mansioni, oltre il 90% dei dipendenti pubblici considera questa esperienza complessivamente positiva e stimolante.

La volontà di proseguire è accompagnata anche dalla convinzione che lo smart working, caratterizzato da maggiore flessibilità nei luoghi e nei tempi di lavoro, sia benefico sia per i dipendenti, i quali hanno la possibilità di dedicarsi maggiormente agli affetti e a se stessi, sia per i clienti, i quali possono con maggiore semplicità e in minor tempo mettersi in contatto con gli enti e vedere svolte le proprie pratiche online.

La convinzione che questo modello sia il futuro che prevarrà sulle forme lavorative più tradizionali è condivisa da oltre il 60% degli intervistati e, visto che non solo la pubblica amministrazione sta percorrendo questa strada, crediamo anche noi sia così. I benefici riguardano tantissime sfere, dalla più impellente tutela della salute umana, fino alla soddisfazione dei dipendenti più liberi e autonomi nella gestione del proprio tempo, passando anche per benefici sensibili per le imprese, le quali possono risparmiare in costi di gestione, edifici, utenze e trasporto affidandosi in buona parte al web sia per i rapporti esterni verso clienti o fornitori, che interni tra dipendenti o reparti di lavoro.