Interfaccia cervello-computer, la demo di Neuralink su un maiale
La società di Elon Musk mostra i suoi progressi
Neuralink, società di ricerca scientifica fondata da Elon Musk, ha dato una prima dimostrazione del suo futuristico collegamento tra cervello e computer. Il prototipo è in grado di “estrarre informazioni in tempo reale” da una varietà di neuroni”, ha affermato Elon Musk durante la conferenza di presentazione.
La dimostrazione ha visto come protagonista un maiale, le cui onde cerebrali erano mostrate su uno schermo. Quando l’animale toccava qualcosa con il muso, l’interfaccia di Neuralink (inserita due mesi prima nel cervello del maiale) visualizzava l’evento in tempo reale.
L’elemento nuovo rispetto ad altri prodotti simili non è tanto la capacità di raccogliere informazioni dal cervello, quanto piuttosto l’hardware dell’interfaccia Neuralink, inserita tramite chirurgia. Musk ha fatto sapere di aver avviato le procedure per una sperimentazione sugli umani, con l’obiettivo di offrire un supporto ai pazienti paralizzati. Non è detto che le necessaria autorizzazioni arrivino presto comunque, anzi probabilmente ci vorrà ancora parecchio tempo.
L’obiettivo a breve termine (questa è la seconda versione di Neuralink) è di creare un’interfaccia cervello-macchina che si possa inserire in poco tempo e possibilmente senza anestesia generale. A quel punto la persona sarebbe in grado di controllare le macchine con il pensiero (esoscheletri, protesi, sedie a rotelli, ma anche un semplice smartphone), o di usarle per comunicare con gli altri, se questo non è possibile in altri modi. L’interfaccia è progettata anche per una semplice rimozione, se il paziente volesse toglierla oppure fare un “upgrade” a una versione migliore quando dovesse essere disponibile.
Per realizzare l’operazione chirurgica è stata progettata e realizzata una specifica macchina, in collaborazione con altri partner. La macchina è un “chirurgo automatico” che può fare la scansione del cervello, rimuovere e riposizionare parte del cranio, e posizionare cavi e isolanti all’interno del cervello stesso. I fili in questione sono spessi 4 o 6 micrometri (un quarto del diametro di un capello umano). Teoricamente la macchina è in grado di posizionare fino a 192 elettrodi al minuto.
Il collegamento di Neuralink può in teoria, gestire fino a 1024 di questi microscopici elettrici per ogni interfaccia, e fino a 10 di queste interfacce si possono posizionare in ogni emisfero cerebrale. Potenzialmente, quindi, Neuralink è in grado di monitorare i segnali cerebrali con una precisione enorme. Un dato che, a sua volta, dovrebbe rendere possibile trasformare questi segnali in comandi e informazioni comprensibili ai computer e agli altri esseri umani.
Secondo Musk il modello commerciale di Neuralink, quando sarà pronto, avrà fino a 3072 elettrodi per interfaccia, distribuiti su 96 thread. L’interfaccia esterna funziona a batteria ed è poco più grande di una moneta, ed è la parte che prende i segnali dagli elettrodi all’interno del cranio e li spedisce verso il mondo esterno (molto probabilmente un computer).
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L’interfaccia amplifica i segnali analogici provenienti dal cervello e li digitalizza, in un modo non troppo diverso da ciò che fanno i sistemi hi-fi delle nostre case (ma più sofisticato). Il tutto in tempi brevissimi, chiaramente, per rendere il tutto quanto più simile possibile al “pensiero”.
Dall’altra parte del collegamento basta un dispositivo semplice, come uno smartphone connesso via Bluetooth. Il paziente sarà in grado di controllare una o più app, di impartire comandi a un computer, far muovere una protesi robotizzata, comunicare con altre persone. In particolare, Musk spera che Neuralink permetta ai pazienti paraplegici di scrivere a “40 parole al minuto”. È una velocità piuttosto alta, considerando che il giornalista medio (io che sto scrivendo) arriva a poco meno di 80. In altre parole, 40 parole al minuto (senza errori) è più o meno quello che fa ognuno di noi, a parte le persone che scrivono per mestiere. Anzi forse è anche un po’ sopra la media.
L’altro elemento in gioco è un collegamento con software di intelligenza artificiale, che potrebbero elaborare i segnali con più potenza, precisione e velocità. Questo è il “grande obiettivo” di Neuralink, quello che ha spinto molti a fare sogni fantascientifici e qualcuno a desiderare un impianto del genere, pur senza bisogni clinici.
E sì, a lungo termine, o forse non tanto lungo, è del tutto possibile che la contaminazione uomo-macchina vada oltre la cura di esseri umani malati o feriti. Già oggi molte molte protesi offrono “poteri sovrumani”, e non manca chi si è modificato il corpo con chip aggiuntivi che non erano necessari per ragioni di salute.
Insomma, stiamo andando verso il cyborg, il che sostiene un’ipotesi vecchia di anni secondo cui prima che l’Intelligenza Artificiale faccia il suo salto definitivo, saranno gli esseri umani a cambiare per sempre e in un certo senso diventeremo tutti Borg.
Prima che si realizzino scenari futuristici più o meno credibili, comunque, ci sono comunque alcuni passi ancora da compiere. L’interfaccia cervello-macchina, persino una avanzata come Neuralink, è ancora in uno stato embrionale. Servono sistemi più precisi e affidabili, e ovviamente le autorità sanitarie e i governi del mondo dovranno valutarne con attenzione l’uso sugli esseri umani.
Ma sì, questi sistemi finiranno per diffondersi oltre il mondo clinico. Negli ultimi anni abbiamo visto pazienti correre più veloci grazie a gambe artificiali, controllare macchine con il pensiero e comunicare tramite schermi e altoparlanti, Tutto grazie a un qualche tipo di collegamento tra il cervello e il computer.
L’esperimento di Neuralink, in altre parole, non è l’unico e non è necessariamente quello più avanzato: è solo un altro tassello (forse quello più famoso) in una branca della ricerca che avanza velocemente. Entro pochi anni, se ne può stare certi, gli effetti si faranno sentire anche sulla nostra vita quotidiana
Via VentureBeat
Valerio Porcu è Redattore Capo e Project Manager di Techradar Italia. È da sempre ossessionato dai gadget e dagli oggetti tecnologici che cambiano la nostra vita quotidiana, e dai primi anni 2000 ha deciso di raccontarla. Oggi è un giornalista con anni di esperienza nel settore tecnologico, e ha ancora la voglia di trovare le chiavi di lettura giuste, per capire davvero in che modo la tecnologia può rendere migliore la nostra vita quotidiana.