Cobalto: lo sporco segreto del mondo hi-tech

Cobalto
(Immagine:: Techradar)

In un mondo sempre più affamato di energia e che punta a essere sempre più green le tecnologie che impiegano energie rinnovabili si stanno diffondendo a macchia d'olio. Purtroppo però, esse non sempre impiegano risorse sostenibili. In particolar modo, in questi ultimi anni abbiamo assistito a un boom delle batterie ricaricabili, grazie alla crescente domanda derivante in primo luogo dai produttori di smartphone e auto elettriche. Basti pensare che stando ad una ricerca condotta da Bloomberg il prezzo medio per una batteria di un'auto elettrica nel 2010 era di 1.100 dollari per KWh, sceso a soli 160 per KWh nel 2020. Allo stesso tempo sono aumentati i chilometri percorribili da un veicolo elettrico con una sola carica. Tuttavia le auto elettriche sono ancora troppo care rispetto alle auto che sfruttano un tradizionale motore a combustione interna. In effetti, è risaputo che affinché i veicoli elettrici si diffondano in maniera più capillare, il costo medio delle batterie dovrà scendere ben al di sotto dei 100 dollari per KWh.

Il componente più costoso delle attuali batterie è il cobalto, data la sua scarsa disponibilità in natura. Non solo. La sua produzione è fortemente polarizzata geograficamente. Infatti, la Repubblica Democratica del Congo immette sul mercato circa il 60% dell'intera produzione mondiale di cobalto. Purtroppo il Paese soffre di una grave instabilità politica che ha come conseguenza un'importante crisi umanitaria con povertà e guerra civile che hanno causato e continuano a causare centinaia di migliaia di morti ogni anno. In tale situazione il lavoro minorile e i danni ambientali non vengono ostacolati e ciò solleva notevoli problematiche etiche circa l’impiego del cobalto nelle apparecchiature elettroniche. Ricorderete forse lo scandalo avvenuto un paio di anni fa in cui Apple, Microsoft, Tesla e altri giganti hi-tech americani sono stati accusati di sfruttamento minorile nelle miniere di cobalto. Oltretutto sul cobalto si è aperta una nuova partita geopolitica in quanto il principale Paese produttore di batterie al mondo, la Cina, ha acquistato circa 2000 tonnellate di questo metallo raro per tenerlo da parte come riserva strategica. 

Batteria agli ioni di litio

(Image credit: radovan)

Da anni gli scienziati stanno cercando un modo per ridurre o addirittura eliminare questo metallo dalle batterie, ma una soluzione definitiva non è stata ancora trovata. Tuttavia i recenti progressi fanno ben sperare e forse non dovremo aspettare ancora molto prima che delle batterie di nuova generazione facciano il loro ingresso sul mercato.

Nel corso degli anni sono stati due i principali ossidi usati per la costruzione del catodo delle batterie al litio ricaricabili: l’ossido di Nichel-Manganese-Cobalto (NMC) e l’ossido di Nichel-Cobalto-Alluminio (NCA). Questo perché riescono a fornire la massima energia possibile a un costo contenuto e con una durata di vita della batteria soddisfacente. 

La presenza del cobalto in questi ossidi è fondamentale per due motivi principali: consente di avere una tensione delle celle elevata e garantisce la stabilità strutturale del materiale durante le operazioni di carica e scarica. Quindi, qualsiasi tentativo di riduzione del cobalto in questi ossidi deve tener conto di questi due aspetti cruciali.

A lungo i costruttori hanno cercato di ridurre la percentuale di cobalto presente a favore del nichel per ridurre i costi (ad esempio la  Renault ZOE utilizza una batteria da 41 kWh NMC 622, cioè con catodo Nichel-Cobalto-Manganese 60%-20%-20%), tuttavia ossidi con alto contenuto di nichel hanno problemi di stabilità strutturale e di temperature. Ad esempio, nel corso del 2019 è entrato in commercio il NMC 811 che, grazie alla sua bassa percentuale di cobalto presente rispetto al NMC 622 o al NMC 523, sembrava dovesse risolvere gran parte dei problemi discussi in precedenza e difatti aveva suscitato un immediato interesse da parte dei costruttori di auto come GAC o BMW. A fine 2020 però la GAC, che utilizzava batterie con questo catodo, avrebbe deciso di interrompere la fornitura a causa di alcuni casi di combustione spontanea avvenuti per l’instabilità termica delle celle.

Dunque gli studi su un nuovo tipo di batterie proseguono, ma la completa eliminazione del cobalto richiede un approccio più drastico e una completa rivisitazione della chimica delle batterie. Tra le varie opzioni quella che per il momento suscita maggiore interesse è la batteria al Litio-Ferro-Fosfato (LFP), un materiale scoperto dal gruppo di ricerca di John Goodenough nel 1996. 

L’impiego di fosfato di ferro come catodo consente di ottenere una bassa resistenza, elevate correnti, cicli di vita più lunghi e contemporaneamente buona stabilità termica e sicurezza. Le celle così strutturate resistono meglio a elevate tensioni applicate a lungo, ma hanno un’energia specifica inferiore rispetto a quelle costruite con NMC o NCA. Inoltre questo tipo di batteria soffre molto l’umidità, dalla quale va accuratamente protetta.

I produttori di auto elettriche come BYD, Nissan e Tesla, però, non si sono fatti scoraggiare e nel 2019 la Nissan ha lanciato sul mercato il suo primo camper elettrico, l’Iridium E Mobil, alimentato completamente da batterie LFP. Mentre nel corso del 2020 BYD e Tesla hanno brevettato nuove tecnologie per le batterie LFP per renderle più sicure, durevoli ed efficienti.

Certo, l’industria delle batterie non cambierà dal giorno alla notte, ed è verosimile che le batterie a NMC e NCA manterranno ancora nel prossimo futuro il loro predominio sul mercato ma notevoli progressi sono stati fatti nella giusta direzione e forse, tra qualche anno, l’energia che alimenta tutti i nostri dispositivi dalle auto agli smartphone sarà veramente rinnovabile e sostenibile.

Luigi Famiglietti

Luigi Famiglietti è Editor presso Techradar Italia dal 2020. Da sempre appassionato di scienza e tecnologia, ha deciso di raccontare la continua evoluzione di questo mondo e le sue diverse sfaccettature.

Ha anche lavorato in un progetto applicativo mirato all’individuazione e valutazione di tecniche in grado di migliorare la somministrazione, l’assorbimento e il potenziale immunogenico di vaccini genetici a base di DNA.

Ama viaggiare, suonare il pianoforte e la fotografia. Inoltre, gli piace trascorrere parte del suo tempo libero a giocare con gli amici al pc.