Git Gud, il gioco è bello se è difficile? Forse non tanto

Elden Ring
(Immagine:: Bandai Namco)

La difficoltà è sempre stata un elemento fondamentale per un videogioco, sia essa presente o assente. Il suo scopo è quello di dare dinamicità all’ambiente di gioco, permettendo agli avversari di reagire in maniera consona alle azioni del giocatore.

I primi videogiochi non offrivano la possibilità di salvare i progressi, anche se va considerato il fatto che erano principalmente costituiti da livelli separati tra loro, e le possibilità ridotte di movimento rappresentavano un limite più per l’utente che per gli avversari governati da un IA. A tal proposito occorre sottolineare che i cabinati richiedevano l’inserimento di una moneta ad ogni morte, dunque creare un gioco che potesse essere concluso pagando una volta sola era controproducente.

In tempi più recenti, il tema della difficoltà è tornato ad essere un argomento di punta, grazie al successo della serie Souls e la nascita del genere indie Roguelike, la cui esistenza non è possibile senza un buon livello di sfida, non ora che l’hanno resa una delle caratteristiche principali. In altre parole, il successo di questi giochi si basa sul fatto che sono difficili. 

La fama ottenuta dalla difficoltà ha portato molti giocatori a lamentarsi di titoli ritenuti troppo facili, come dimostrano i commenti su YouTube o su Twitch ma, raramente se non mai, si sente qualcuno lamentarsi di un titolo ritenuto troppo difficile, come se questa dichiarazione fosse fonte di irreparabile vergogna.

E così la difficoltà sta diventando uno standard, perlomeno nella misura in cui il pubblico chiede che ci sia sempre un livello accettabile di sfida, ma spesso non si tiene in considerazione cosa ciò comporti. La sfida, soprattutto se alta, definisce in parte l’ambiente competitivo poiché richiede impegno, dedizione e l’apprendimento di abilità meccaniche al fine di reagire prontamente ai colpi che si ricevono. In altre parole, bisogna allenarsi. Se la difficoltà dovesse diventare uno standard a cui le Software house non possono sottrarsi, pena un eventuale flop del titolo, sarà inevitabile scendere a patti con la propria abilità e fare pratica per migliorare. Siamo sicuri di voler giocare come dei professionisti? 

Come si ottiene la difficoltà: metodo o trucco? 

Scatto di rabbia

(Image credit: Pexels)

La difficoltà non è elemento statico ed immutabile e un mondo di gioco può presentare diversi fattori che aumentano o diminuiscono il livello di sfida. Per esempio, ci si può ritrovare in un’area che presenta molti ostacoli e impedimenti, mentre avversari agguerriti e aggressivi spingono il giocatore agli angoli fino a togliergli il respiro, oppure essere presi di mira da una moltitudine di colpi che vanno evitati con precisione millimetrica (come nel genere Roguelike). Un’arena limitante e una serrata sequenza di “proiettili”, fattore che denota una tipologia di gioco  definita Bullet Hell (inferno dei proiettili), hanno meno probabilità di essere percepiti come scorretti da parte del giocatore ma, accanto ai metodi, ci sono anche i trucchi

Una freccia sta per colpirci, arriva da lontano ed è abbastanza lenta, abbiamo tutto il tempo di spostarci e lo facciamo ma, sul più bello, quella curva e centra il bersaglio. Chi ha messo mano ai software per lo sviluppo di videogiochi, alcuni molto accessibili come Unity. sa che tra i tanti valori programmabili c’è anche la precisione dei colpi che, perlomeno nel programma sopra citato, viene gestita in percentuale. Un’accuratezza del 100% centra sempre ma è troppo evidente, mentre allo 0% è come se il colpo non fosse stato scagliato; al 50% si ottengono invece traiettorie goffe. Ma cosa succede se la precisione viene impostata al 90%, o al 95%? Il colpo risulta preciso, la traiettoria perfetta ed è bene aspettare l’ultimo istante per schivare o proteggersi; se ci si sposta prima un’accuratezza così elevata farà sì che i proiettili abbiano un marcato effetto tracciante.

Nel combattimento corpo a corpo entra in gioco, a fianco del tracciamento, un altro interessante meccanismo, che prende il nome di input reading (lettura dell’input). L’intelligenza artificiale degli avversari deve poter reagire in maniera contestualizzata con le nostre azioni, come effettivamente avviene in un combattimento reale, ma per ottenere questo effetto nel mondo videoludico è necessario leggere i comandi che il giocatore immette tramite controller o tastiera

Un esempio lampante, con cui molti hanno avuto a che fare e che non è originario della troppo citata serie Souls, sono i boss finali dei picchiaduro nella modalità Arcade, quelli che parano alla perfezione e reagiscono con mosse che richiedono un numero inferiore di fotogrammi rispetto alle nostre, andando prima a segno. A poco serve, in questi scenari, avere a disposizione un sistema di ultima generazione come PS5, XBox Series X e Series S o un portatili gaming di fascia alta.

I Souls mutuano il sistema di combattimento dai picchiaduro nei suoi principi e, mentre il giocatore sta dando il sorso della speranza alla sua fiaschetta Estus, il boss di turno seleziona la mossa appropriata per punirlo, sovente saltando alcuni frame o accelerando improvvisamente

Non c’è nulla di sbagliato in tutto ciò e, come detto in precedenza, il sistema aiuta a creare un mondo vivo e dinamico. Tuttavia, il problema si pone quando certe meccaniche, oltre ad essere sbilanciate, vengono sfruttate un po’ troppo portando alla frustrante sensazione di essere stati presi in giro

La difficoltà tra gratificazione, community e intrattenimento 

La community in una delle sue tante forme

(Image credit: Bandai Namco / G2Cade)

Dopo aver discusso della frustrazione che certi metodi comportano, è arrivato il momento di dare a Cesare ciò che è suo. Cosa potrebbe accadere se lo standard diventasse quello opposto e si eliminasse del tutto la sfida? A tal proposito si può supporre che un giocatore non avrebbe motivo di cercare aiuto online perché non ne avrebbe bisogno. Pur non essendo l’unico fattore che determina la creazione di una community, la difficoltà è senza dubbio uno dei motori che porta alla proliferazione delle discussioni e alla continua ricerca di strategie per affrontare al meglio la sfida. 

La divisione tra videogiocatori “pro” e occasionali aggrega le persone intorno a figure che, proprio in virtù del livello di sfida, hanno l’occasione di mostrare la loro abilità, guadagnandosi l’apprezzamento del pubblico e, in un mondo dominato dal multiplayer online, anche i titoli single player devono poter offrire questa possibilità. 

L’intrattenimento ha guadagnato molto dal ritorno in primo piano della difficoltà, regalando perle di “rage quit” e Meme che sono entrati nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune (come il celebre git gud, versione ironica dell’inglese get good, sintetizzabile in un tanto imperativo quanto ironico “migliora”).

Infine, lo studio approfondito di uno scontro, del posizionamento dei nemici e delle scelte di design che la difficoltà talvolta impone è affascinante e gratificante. Il sentirsi parte di un’esperienza comune a tutti e guardare altri ripercorrere i nostri passi, o percorrerli prima di noi, è prezioso e non va sottovalutato. Tuttavia, se suddetta esperienza risultasse essere troppo frustrante, decade la bellezza della condivisione e il tutto si trasformerebbe in un reciproco raccontarsi i propri rammarichi e insuccessi. 

Conclusioni 

sviluppo di un videogioco

(Image credit: Shutterstock)

Il perfetto equilibrio tra un livello di sfida costruito per stimolare, che non faccia eccessivo affidamento su “trucchetti”, e la creazione di un mondo di gioco dinamico e vivo potrebbe non esistere, proprio in virtù della sua perfezione e, a conti fatti, non è necessario che il sistema non abbia nessuna sbavatura.  

L’accettazione di uno standard di difficoltà che, ricordiamo, potrebbe essere basato su forzature come l’input reading, costringerebbe il giocatore a piegarsi passivamente a situazioni che non può gestire e ricevere punizioni immeritate, indipendentemente dalle sue abilità

Può sembrare scontato ma l’ultima parola spetta agli sviluppatori, che determinano il posizionamento dei nemici, la struttura dell’area in cui si combatte e gli strumenti a disposizione del giocatore per cavarsela anche nelle situazioni più disperate. Tutti questi fattori consentono al videogioco di essere bilanciato senza limitare le possibilità al solo aspetto parametrico di un personaggio.

D’altra parte, anche gli stessi giocatori devono evitare di commettere errori che li portino ad una fine certa, ma proprio su questo punto occorre fermarsi un attimo: l’errore deve essere evitabile e certe forzature non lasciano nessuna via d’uscita anche quando si gioca bene. Infine, impegno e dedizione vanno premiati.