Zuckerberg vuole che tutti abbiano amici IA, ma ignora cos'è l'amicizia (e cos'è davvero l’intelligenza artificiale)
L’amicizia non si può simulare: un chatbot non ti vuole bene, anche se ti risponde sempre

L’amicizia è una parte essenziale della vita per molte persone. Può essere complessa e imperfetta, ma resta un legame insostituibile. Come osservava Aristotele, "nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se possedesse tutti gli altri beni."
Nel contesto di una società sempre più frammentata sul piano relazionale, Mark Zuckerberg ha proposto una possibile soluzione: creare nuove amicizie attraverso l’intelligenza artificiale. Un’evoluzione del concetto stesso di "fare amicizia", che il CEO di Meta ha contribuito a ridefinire già dai tempi in cui ha trasformato il termine “friend” in un verbo.
Durante un intervento nel podcast di Dwarkesh Patel, Zuckerberg ha sottolineato che molte persone si rivolgono ai chatbot, come Meta AI, per parlare della propria vita personale. In un’epoca in cui molti americani dichiarano di avere meno amici di quanto desidererebbero, le interazioni con l’IA potrebbero rappresentare uno spazio alternativo.
"Man mano che il ciclo di personalizzazione si rafforza e l’IA inizia a conoscerti meglio, l’esperienza diventerà sempre più coinvolgente", ha affermato Zuckerberg.
Tuttavia, coinvolgente non significa autentico. Un’intelligenza artificiale non è un amico, e non può esserlo. Confondere le due cose porta a fraintendere sia il funzionamento dell’IA che la natura delle relazioni umane. Un assistente virtuale, per quanto sofisticato, è uno strumento. Potente, utile, a volte sorprendente, ma pur sempre uno strumento, come l’autocompletamento dei messaggi o un coltellino svizzero.
L’IA non possiede coscienza, non ha un pensiero interno o emozioni. È pura sintassi e superficie, un sistema addestrato a riprodurre linguaggio, non a comprendere sentimenti. L’empatia che simula è una rappresentazione preprogrammata, non una connessione reale.
L’amicizia vera non si misura in base all’utilità o alla disponibilità costante. Non è una relazione unilaterale in cui qualcuno risponde sempre senza aspettarsi nulla in cambio, sulla base di un modello probabilistico. Una conversazione ben progettata o una UI intuitiva non sono sinonimo di affetto.
Nel migliore dei casi, un "amico IA" è paragonabile a un animale domestico virtuale: un’entità reattiva su cui si può proiettare un’emozione, ma che non prova nulla. È sempre presente, ma non si prende cura di voi, e nel profondo, ne siamo consapevoli.
Terapia IA
In un altro recente intervento podcast, questa volta con Ben Thompson, Mark Zuckerberg ha suggerito che, anche in assenza di un terapeuta umano, sarebbe comunque utile avere a disposizione un’IA. La motivazione è chiara: la terapia ha costi elevati e la domanda di supporto psicologico supera di gran lunga l’offerta disponibile. Se un chatbot basato sull’IA può offrire conforto a chi si trova in difficoltà, è difficile considerare l’idea negativa in assoluto. Tuttavia, i dettagli fanno la differenza.
Alcune app di supporto psicologico basate su chatbot hanno mostrato risultati promettenti, ma la loro esistenza nasce da un vuoto strutturale: la mancanza di risorse per fornire servizi di salute mentale su larga scala. Un terapeuta formato, infatti, non si limita a interpretare le parole o il tono emotivo evidente. È in grado di cogliere ciò che non viene detto, di riconoscere segnali nascosti dietro atteggiamenti apparentemente sereni e di prendere decisioni cliniche complesse che nessun algoritmo può replicare.
Soprattutto, un terapeuta umano segue un codice etico e norme professionali che nessun software può eguagliare. È abilitato, responsabile, e vincolato alla riservatezza. Al contrario, un’IA – anche se programmata con regole severe – potrebbe essere modificata in qualsiasi momento, con il rischio che le informazioni personali vengano trasferite su server remoti senza reale controllo da parte dell’utente.
C’è anche un altro elemento da considerare: l’ironia di affidare all’IA di una grande piattaforma social il compito di offrire supporto mentale, quando proprio alcune di queste piattaforme sono spesso associate a un peggioramento del benessere psicologico tra gli adolescenti e alla dipendenza digitale, che può allontanare le persone da relazioni autentiche.
L’IA può essere uno strumento utile. Può supportare i terapeuti, potenziare l’istruzione, offrire assistenza 24/7, e automatizzare operazioni complesse. Ma non può sostituire le connessioni umane.
Al momento, non si registra un fenomeno su larga scala in cui le persone abbandonano le relazioni interpersonali per rifugiarsi in interazioni asettiche con chatbot sempre accondiscendenti. Ma non si tratta comunque di una prospettiva da incoraggiare. L’amicizia non può essere scalata industrialmente, né conviene incentivare l’uso di software come alternativa al lavoro necessario per costruire legami reali.
Un’IA si comporta con tutti allo stesso modo. E, come ricordava Aristotele, "chi è amico di tutti, non è amico di nessuno."
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Nato nel 1995 e cresciuto da due genitori nerd, non poteva che essere orientato fin dalla tenera età verso un mondo fatto di videogiochi e nuove tecnologie. Fin da piccolo ha sempre esplorato computer e gadget di ogni tipo, facendo crescere insieme a lui le sue passioni. Dopo aver completato gli studi, ha lavorato con diverse realtà editoriali, cercando sempre di trasmettere qualcosa in più oltre alla semplice informazione. Amante del cioccolato fondente, continua a esplorare nuove frontiere digitali, mantenendo sempre viva la sua curiosità e la sua dedizione al settore.