Smart working fase 2: aumentano i rischi di sicurezza informatica
La crescita del lavoro da remoto porta con sé nuovi pericoli
Il lockdown che ci è stato imposto a causa della pandemia da coronavirus ha portato a una sensibile crescita del numero di lavoratori in smart working. Con l’ingresso nella cosiddetta fase 2, migliaia di persone proseguiranno continueranno a lavorare da remoto.
Nella fase 2, lo smart working rimarrà il cardine per la maggior parte dei lavori dipendenti: sebbene si siano susseguiti nelle settimane diversi DPCM (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri), il lavoro da remoto non è mai stato messo in discussione, in quanto considerato il miglior punto d’incontro tra sicurezza personale e continuità lavorativa.
Proprio per questo, nella dilagante emergenza sanitaria ed economica, la tecnologia è uno dei pochi settori che non sta subendo particolari contraccolpi negativi: le vendite di software e apparecchiature informatiche come smartphone o computer sono aumentate, e con loro anche il numero di persone che si connettono a Internet con maggiore frequenza.
Il sensibile aumento di utenza però ha causato il sovraccarico delle infrastrutture di telecomunicazioni, aumentando i pericoli connessi alla fruizione di internet e di tutti i servizi collegati.
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L’inconsapevolezza dei rischi è il problema maggiore
Secondo un’indagine effettuata da INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) a seguito del lockdown, 3 milioni di lavoratori in Italia si trovano attualmente in smart working.
Per quanto si tratti di una cifra ragguardevole, soprattutto considerata la velocità della transizione, questi numeri portano alla luce un sistema inadeguato e inefficiente, potenzialmente in grado di mettere a rischio imprese e utenti finali.
I pericoli più diffusi sul web non sono causati da complesse elaborazioni informatiche, ma fanno semplicemente leva sull’inconsapevolezza degli utenti: non saper determinare l’attendibilità di un sito o di una mail, non saper riconoscere un allegato pericoloso o ancora non sapere come proteggere i dati dei propri dispositivi sfruttando dei servizi progettati ad hoc, sono tutte azioni che rendono il lavoro dell’hacker molto semplice.
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Nonostante possano essere sufficienti poche attenzioni per prevenire questi rischi, l’organizzazione interna alle imprese dal punto di vista formativo lascia ancora a desiderare, e le informazioni basilari sul tema della sicurezza tardano ad arrivare ai dipendenti, aumentando di conseguenza i pericoli.
Smart working fase 2: sicurezza e formazione
È ormai chiaro che in fase 2 la maggior parte dei lavoratori italiani rimarrà in smart working, e questo potrebbe rendere molti di loro potenzialmente più vulnerabili, soprattutto i dipendenti delle imprese che non riservano particolare attenzione alla sfera della sicurezza informatica.
La scelta di software adeguati, un sistema di tutela delle informazioni dell’impresa e la formazione dei propri dipendenti dovrebbe essere per le aziende il cardine dello smart working in fase 2.
Viviamo in un periodo storico in cui la sicurezza sul luogo di lavoro è diventata sinonimo di sicurezza informatica, e questo rende necessario intraprendere percorsi di formazione all’interno delle imprese e introdurre i software adeguati per la protezione dei dipendenti e dei dati aziendali.
Mentre aspettiamo la ripresa dell’attività aziendale, gli italiani continueranno a lavorare da remoto. Se le minacce a cui veniamo esposti giornalmente non verranno affrontate nel modo adeguato, le conseguenze potrebbero avere un impatto non da poco sull’attività anche futura delle aziende, quando spesso sarebbe sufficiente prestare la giusta attenzione ai piccoli dettagli.