Macchine che leggono (e scrivono) il pensiero

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Qualcosa di più di una tecnologia che anticipa scenari da fantascienza. La ricerca illustrata in un report tecnico-scientifico pubblicato da Nature - Neuroscience potrebbe essere il primo passo per migliorare la vita di quelle persone che, magari per aver subito danni cerebrali, hanno deficit nelle loro capacità di esprimersi.

I tre ricercatori della University of California, Joesph G. Makin, David A. Moses e Edward F. Chang sfruttando le ultime tecnologie in materia di traduzione automatica (la cosidetta “machine translation”, presente parzialmente anche su molti smartphone) sono riusciti a trasformare l’attività neurale generata dalla lettura, in frasi di senso compiuto in lingua inglese.

Il linguaggio in rete

Ciascuna delle quattro persone, tutte donne, che hanno partecipato all’esperimento soffre di attacchi epilettici e i ricercatori hanno avviato un monitoraggio dell’attività celebrale mentre leggevano fra le 30 e le 50 di frasi da un set precostituito da fare decodificare alla rete neurale.

Questo primo passaggio è servito all’algoritmo per riconoscere determinate ricorrenze linguistiche e pattern che poi passando da un’altra rete neurale sono state trasformate in parole e frasi. 

Ma non sarebbe bastato tradurre “semplicemente” l’attività neurale? In realtà no, perché gli impulsi non sono identici da persona a persona quindi serve un lavoro di somiglianze e differenze che l'intelligenza artificiale deve operare molto simile a quanto già teorizzato dallo strutturalismo linguistico.

(Image credit: Science - Neuroscience)

 

Una conferma di questo, come riferisce il ricercatore Joseph G. Makin, arriva dal fatto che «la rete sta chiaramente apprendendo quali parole più spesso sono associate insieme e non i singoli termini associandoli a una specifica mappa neurale». Quando la decodifica ha riguardato le parole singole, non a caso, la percentuale di errore è schizzata dal 3%, con l’approccio per frasi, al 38%. Volendo semplificare, insomma, un modo di apprendimento che ricorda molto la compilazione automatica dei nostri smarthpone.

Chiaramente tutto questo al momento avviene su un numero limitato di vocaboli, circa 250 anche se siamo ancora lontani dalla possibilità di gestire quantità come le 350 mila parole che ogni essere umano conosce, ricorda Sophie Scott della University College London.

Un altro fattore da tenere in considerazione riguarda il fatto che l’attività cerebrale legata alla lettura a voce alta, come nell’esperimento, non è proprio la stessa di quella a bassa voce come ha ricordato a The Guardian, Christian Herff, esperto di interfaccie cervello-macchina alla Maastricht University.