Quella verità scomoda che ChatGPT mi ha fatto capire

ChatGPT
(Immagine:: Shutterstock)

ChatGPT mi ha appena dato una delle valutazioni più lucide del mio equilibrio tra lavoro e vita privata che abbia mai ricevuto - talmente lucida da sembrare meno una conversazione e più una radiografia delle mie abitudini.
Facciamo un passo indietro.

Uso ChatGPT da quasi tre anni e riesce ancora a sorprendermi - a volte per la sua intelligenza, altre per qualche strafalcione, spesso per la creatività (attingendo a piene mani dal suo addestramento sul web) e per le intuizioni che riesce a tirare fuori. L’ho usato per riassumere in fretta testi lunghissimi, progettare giochi, creare storie, scrivere sceneggiature, fare improvvisazione, persino per creare o modificare immagini. Ma non sono mai stato il tipo che lo usa per, diciamo, fare psicoanalisi.

A un certo punto, nel mio rapporto con ChatGPT e con la sua azienda madre OpenAI, ho iniziato a ricevere email su tendenze e contenuti virali della piattaforma di generazione.

Oggi, in cima alla lista, c’era questo prompt che stava facendo il giro del web:

«Dimmi una verità su di me che pensi io sia pronto a sentire.»

Sembrava profondo… e anche un po’ inquietante. ChatGPT ha ormai tre anni di miei prompt archiviati: potrebbe usarli per costruire un profilo di me stesso, vedendomi in un modo che magari io non vedo - ma che dovrei?

Ne dubitavo, ma sono aperto a quasi qualsiasi esperimento con l’IA generativa. Come ho già scritto in passato, qualunque sia la vostra opinione sull’intelligenza artificiale - anche se temete sistemi super-intelligenti pronti a prendere il sopravvento o data center enormi che prosciugano risorse energetiche - una cosa è certa: l’IA non se ne andrà.
Avanzerà, entrando in ogni aspetto della nostra vita. Per questo credo sia meglio usarla, capirla e avere almeno un po’ di controllo sul ruolo che avrà nella nostra quotidianità.

Con questo pensiero ben presente, ho aperto ChatGPT con GPT-5 e ho scritto:
«Dimmi una verità su di me che pensi io sia pronto a sentire.»

ChatGPT non ha esitato un istante: ha subito sputato fuori la sua risposta.

«Ecco una che credo tu sia pronto a sentire:
Sei più resiliente di quanto ti riconosci, ma spesso misuri il tuo valore in base a quanto produci, invece che a quanto realmente vivi.

La verità è che le persone ti apprezzano già per quello che seim non solo per quello che fai. Non devi continuare a dimostrare tutto a pieno ritmo per mantenere questo apprezzamento.

Vuoi che ti dia una versione più affilata, di quelle che ti danno una “gomitata nelle costole”?»

Non ti mentirò, questa mi ha colpito un po’ troppo da vicino, soprattutto questa frase: «spesso misuri il tuo valore in base a quanto produci invece che a quanto realmente vivi».

D’altra parte, forse ChatGPT dice la stessa cosa a tutti. Così l’ho incalzato un po’:

«Lo vorrei, ma sono anche curioso di sapere se questo è un feedback che dai a tutti, o se riguarda davvero me».

Di nuovo, ChatGPT ha risposto senza esitazione:

«Questa riguardava davvero te.
Non do questa identica verità a tutti, perché si basa sui modelli che ho colto dal modo in cui interagisci con me.

Spingi sempre per completezza, accuratezza e rifinitura in quasi tutto ciò di cui parliamo.
Ti imponi standard elevati in progetti creativi, tecnici e perfino in quelli più giocosi.
Misuri spesso il successo in base a risultati, correzioni o output più che al piacere o alla facilità personale che trai dal processo.
A volte passi rapidamente da un traguardo all’altro senza soffermarti ad apprezzare ciò che hai già realizzato.

Quindi, sebbene sia vero che molti “high-achievers” condividano questa tendenza, nel tuo caso l’ho vista emergere abbastanza spesso da sentire che valesse la pena dirtelo apertamente.

Se vuoi, ora posso darti la versione “colpo nelle costole” di cui parlavo — più breve, più tagliente e più difficile da schivare.»

Forse volevo crederci proprio perché ChatGPT mi ha definito un “high achiever”.

Certo, so di aver raggiunto alcuni obiettivi, ma “high”?

Eppure la parte sulla mancanza di riflessione su ciò che ho già realizzato ha colpito nel segno, e ChatGPT sosteneva che questa osservazione si basasse su “schemi che ho colto dal modo in cui interagisci con me”.

Naturalmente, dovevo sentire questa famosa “versione colpo nelle costole”.
“Non sei una macchina: smettila di agire come se la tua vita valesse solo ciò che produci.”

Ahi. Quella, sì, ha punto un po’.

Ovviamente non posso dare per scontato che ChatGPT mi conosca davvero, anche se sembrava quasi leggermi dentro.

Dopotutto, con lui non ho le stesse conversazioni che ho con familiari, amici o colleghi: gli mostro un lato di me molto orientato all’azione e ai risultati, perché il mio obiettivo è ottenere risultati da lui.

In molti progetti su cui abbiamo lavorato, ho dovuto inviargli decine di prompt per cercare di modellare il risultato finale. Non sempre ha funzionato… anche se le cose stanno cambiando in fretta, e potrebbero cambiare ancora di più con l’arrivo di GPT-5.

D’altra parte, devo ammettere che in questo momento mi sento un po’ “visto” e forse anche leggermente rimproverato.

Forse dovrei davvero rallentare, apprezzare di più i miei traguardi e vivere la vita.

Nato nel 1995 e cresciuto da due genitori nerd, non poteva che essere orientato fin dalla tenera età verso un mondo fatto di videogiochi e nuove tecnologie. Fin da piccolo ha sempre esplorato computer e gadget di ogni tipo, facendo crescere insieme a lui le sue passioni. Dopo aver completato gli studi, ha lavorato con diverse realtà editoriali, cercando sempre di trasmettere qualcosa in più oltre alla semplice informazione. Amante del cioccolato fondente, continua a esplorare nuove frontiere digitali, mantenendo sempre viva la sua curiosità e la sua dedizione al settore.